Itinerario Florio. 1. Palermo: l’ascesa commerciale e sociale di Paolo e Ignazio Florio

A seguito di un viaggio in Sicilia organizzato dalla nostra Associazione nell’ottobre 2020 per ripercorrere la Saga dei Florio, abbiamo deciso di dedicare alcuni post del nostro blog alla narrazione di quest’esperienza: un post per ogni generazione di questa famiglia di origine calabrese, emigrata in Sicilia all’epoca della dominazione borbonica, cui si deve la creazione di uno dei maggiori imperi industriali italiani del periodo postunitario. Ispiratrice del viaggio è stata la lettura del bestseller di Stefania Auci, I leoni di Sicilia (Editrice Nord, 2019), del quale riportiamo alcuni brani. Invitiamo comunque alla lettura di altri testi (bibliografia in calce) per approfondire fatti storici, non sempre esattamente riportati nel romanzo.

Fine XVIII secolo. A Bagnara Calabra, sul continente, c’è stato un ennesimo disastroso terremoto. I fratelli Florio, Paolo e Ignazio, si imbarcano su uno schifazzo (imbarcazione siciliana dell’epoca) con destinazione Palermo per iniziare una nuova vita. Già da alcuni anni Paolo Florio si era messo in affari con il cognato Paolo Barbaro: i due acquistavano merci sulle coste italiane e le rivendevano a Palermo dove avevano anche acquisito un piccolo magazzino per stipare le merci.

Arrivo al porto di Palermo con la nave Florio. Sullo sfondo il Monte Pellegrino [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Arrivo al porto di Palermo con la nave Florio. Sullo sfondo il Monte Pellegrino [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
La città borbonica è in fermento. I regnanti Ferdinando IV di Napoli e Maria Carolina d’Asburgo hanno lasciato la capitale partenopea a seguito della rivoluzione e si sono trasferiti a Palermo, munita di uno dei più vivaci porti del Mediterraneo. Le opportunità sono tante per chi ha voglia di mettersi in gioco.

Sullo schifazzo viaggiano Paolo con la moglie Giuseppina, il piccolo Vincenzo ancora in fasce e il fratello di Paolo, Ignazio. Al termine della navigazione giungono nel porto di Palermo:

Cupole di maiolica, torri merlate, tegole. Ecco la Cala, affollata di feluche, brigantini, shooner, un’insenatura a forma di cuore, stretta tra due lingue di terra. Attraverso la selva di alberi di navi, s’intravedono le porte, incastonate dentro palazzi, letteralmente costruite sopra di esse: porta Doganella, porta Calcina, porta Carbone. Case abbarbicate, affastellate, come a cercare di farsi spazio per trovare un po’ di vista sul mare. A sinistra, seminascosto dai tetti, il campanile della chiesa di Santa Maria di Porto Salvo; poco oltre, s’intravedono la chiesa di San Mamiliano e la torre stretta della Chiesa dell’Annunziata, e poi ancora, quasi a ridosso delle mura, la cupola ottagonale di San Giorgio dei Genovesi. A destra, un’altra chiesa, piccola e tozza, Santa Maria di Piedigrotta, e la sagoma imponente del Castello a Mare circondato da un fossato; poco oltre, su una lingua di terra che s’inoltra in mare, il lazzeretto per la quarantena dei marinai malati. Su ogni cosa incombe il Monte Pellegrino, Dietro, una cintura di montagne coperte di boschi.
C’è un profumo che arriva dalla terra, legna bruciata, alghe, sabbia, Paolo dice che è l’odore della terraferma, Ignazio, invece, pensa che sia il profumo di questa città. [p. 32]

Passeggiata alla Cala di Palermo, oggi porto turistico [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Passeggiata alla Cala di Palermo, oggi porto turistico [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Iniziamo il nostro itinerario proprio dalla Cala, il panorama visto dai Florio è profondamente cambiato. A’ Duaniedda, la Doganella, era una delle cinque porte che si aprivano sulla Cala, da qui transitavano le merci destinate al pagamento delle gabelle di legge prima di essere stoccate. A metà del XIX secolo la porta venne demolita per agevolare il traffico veicolare e come lei tanti altri edifici che facevano parte dello skyline di chi arrivava alla Cala non esistono più.

Il fatiscente Mandamento di Castellammare [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Il fatiscente Mandamento di Castellammare [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Il centro storico di Palermo è diviso in quattro mandamenti: Castellammare o Loggia (dei Mercanti), Palazzo Reale o Albergheria, Monte di Pietà o Seralcadio e Tribunali o Kalsa. Noi iniziamo a cercare le tracce dei primi Florio nel mandamento di Castellamare. Imboccando via dei Cassari (dal nome delle casse delle merci che qui transitavano) e ci dirigiamo verso il piano di San Giacomo, dove era ubicata la prima putìa della società Florio & Barbaro per la vendita al dettaglio di aromi e spezie. Collocata sul lato opposto alla chiesa, dove oggi vi è un moderno locale, con ogni probabilità ostentava all’esterno il leo bibens, simbolo della drogheria, un leone malaticcio che beve da un ruscelletto intriso di corteccia dell’albero della china (il cortice), rimedio portentoso contro la malaria, giunto in Europa dal Perù fin dal Seicento e noto anche come polvere dei Gesuiti.

Sulla parete di un altro edificio scorgiamo un altro leone, ma non è il leo bibens dei Florio, bensì il simbolo dell’Emporio Giachery, altro personaggio legato alla famiglia Florio.

L'edificio dell'Emporio Giachery [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
L’edificio dell’Empio Giachery [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
L’intesa si ruppe nel 1803 ma pare che ancor prima dello scioglimento Paolo Florio avesse preso in affitto un altro magazzino nella strada degli Spadari e che nel 1805-1806 avesse rilevato la casa e la bottega sul piano San Giacomo di fronte alla Chiesa di Santa Maria La Nova. Qui, in un quartiere dove probabilmente viveva una vera e propria comunità di bagnaroti, Paolo visse con la moglie Giuseppina, il figlioletto Vincenzo e il fratello Ignazio i primi anni palermitani.

Immaginiamo l’arrivo a Piano San Giacomo del carro con le poche masserizie dei Florio, tra cui l’immancabile corriola, la cassa del corredo di Giuseppina.

Giuseppina si guarda intorno, Subito intuisce che la casa è disabitata da ben più di due mesi. Il focolare per cucinare è lì, quasi sulla soglia. La canna fumaria funziona male: il muro è annerito, le maioliche sono sbreccate, sporche di fuliggine. C’è solo un tavolo; nessuna sedia, solo uno sgabello. Alcuni stipi sono incassati nei muri, chiusi da sportelli di legno gonfio e spaccato. Le travi sono coperte di ragnatele; per terra, vermi di umidità. Il pavimento scricchiola sotto i piedi. […] Lei ha uno sguardo vacuo. Questo è un tugurio. Un catojo. [p. 38-39]

Grazie all’abnegazione dei due fratelli la putìa di Piano San Giacomo divenne nel giro di pochi anni l’aromateria più importante della città, frequentata anche da aristocratici e speziali che spendevano tarì, grani e onze per acquistare spezie e medicamenti giunti a Palermo da ogni dove.

Cannella, pepe, cumino, anice, coriandolo, zafferano, sommacco, cassia. No, non servono solo per cucinare le spezie. Sono farmaci, sono cosmetici, sono veleni, sono profumi e memorie di terre lontane che in pochi hanno visto.
Per raggiungere il bancone di una rivendita, una stecca di cannella o una radice di zenzero deve passare per decine di mani, viaggiare a dorso di mulo o di cammello su lunghe carovane, attraversare l’oceano, raggiungere i porti europei. [….]
Ricco è chi può acquistarle, ricco è chi riesce a venderle. Le spezie per la cucina – e ancor di più quelle per le cure mediche e per i profumi – sono cose per pochi eletti. [p. 31]

Ben presto la putìa di Piano San Giacomo non è più sufficiente. Paolo e Ignazio fanno un salto di qualità e iniziano a vendere all’ingrosso le spezie anche ad altri commercianti. E così affittano un magazzino in via dei Materassai 51 (all’epoca via dei Materazzari 53), cercando sempre più di elevarsi socialmente. Non possono sopportare di essere chiamati dagli altri aromatari pirocchi arrinisciuti o facchini bagnaroti. Alla morte di Paolo, l’aromateria di Piano San Giacomo diventerà la Drogheria di Ignazio e Vincenzo Florio e Ignazio acquisterà la casa sopra al magazzino di via dei Materassai, dove – si dice – che dormisse al primo piano su un letto a baldacchino intarsiato d’oro.

Sulla destra: il piano nobile del primo Palazzo Florio in via dei Materassai [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Sulla destra: il piano nobile del primo Palazzo Florio in via dei Materassai [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
L’edificio adiacente al primo Palazzo Florio era di proprietà di Benjamin Ingham, banchiere e mercante di tessuti di lana e cotone, olio, liquirizia, agrumi, sommacco e zolfo, che nel tempo intraprese diverse attività commerciali con Vincenzo Florio, nipote di Ignazio. Con l’età napoleonica, gli inglesi avevano dichiarato guerra alla Francia e di conseguenza le rotte mediterranee non erano più sicure per i mercantili d’Oltremanica che avevano trovato in Palermo un porto sicuro animato da commercianti e marinai provenienti dall’Europa e dal Mediterraneo.

Oggi tutto il quartiere è molto fatiscente, ma all’epoca dei Florio doveva essere animato da un via vai di carrozze, venditori, mercanti, passanti che si addentravano nelle vie popolari dirigendosi anche verso le botteghe artigiane degli orafi e argentieri nel quadrilatero di S. Eligio.

L'area del Quadrilatero degli Argentieri [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
L’area del Quadrilatero degli Argentieri [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]

A via dei Materassai la primavera esplode sui balconi stretti, nei fiori e nei vasi di erbe aromatiche, sulla biancheria stesa al sole tra un palazzo e l’altro, nell’odore di sapone e di sugo di pomodoro fresco. […] C’è traffico di uomini, soprattutto mercanti che vestono alla moda inglese, con tanto di panciotto e giacca di panno. Da piano San Giacomo arrivano le grida dei venditori e oltre, verso via degli Argentieri, rintoccavano i martelletti degli artigiani. Un marinaio dalla pelle scurissima confabula con un uomo dai capelli rossi e dalla carnagione scottata dal sole in una lingua che è un misto di arabo e siciliano. [p. 118]

Via dei Materassai, il portone di accesso a Palazzo Ingham [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Via dei Materassai, il portone di accesso a Palazzo Ingham [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Non vi sono targhe nella via a ricordare Palazzo Florio e Palazzo Ingham: il vecchio magazzino di Paolo e Ignazio si doveva trovare all’altezza di una saracinesca sconnessa, il palazzo di Benjamin Ingham è stato profondamente modificato nel tempo. Da un grosso portone, entrava la carrozza che veniva parcheggiata nell’androne, oltre l’ingresso.

Solo un’officina di moto – l’Officina Florio – rimanda nella denominazione alla celebre dinastia di imprenditori.

Via dei Materassai, Officina Florio [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Via dei Materassai, Officina Florio [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Prima di proseguire sbirciamo all’interno di una ex bottega.

Una ex bottega nel mandamento di Castellammare [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Una ex bottega nel mandamento di Castellammare [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Raggiungiamo la vicina chiesa di Sant’Andrea degli Amalfitani o «Aromatari» che fin dall’inizio del XVII secolo venne ceduta alla Corporazione degli Aromatari. Oggi la chiesa, di proprietà dell’Ordine dei farmacisti di Palermo, è sconsacrata, ma di recente è stata restaurata e restituita alla città per eventi culturali. Purtroppo la troviamo chiusa. Avremmo voluto vedere la lastra marmorea che chiudeva l’accesso alla sepoltura dei frati nella cripta con un’iscrizione che ricorda che “nessun farmaco ferma la morte”. Elio, la nostra guida palermitana, ci spiega che S. Andrea era un santo mirobita, il cui corpo lasciava trasudare in occasione della morte olio profumato, prodigio (noto come il miracolo della Manna) che da settecento anni si perpetua più volte all’anno nella Chiesa di S. Andrea ad Amalfi. Sicuramente i Florio avranno avuto occasione più volte di frequentare questa chiesa per funzioni, matrimoni e funerali.

Venezia ha fondato la sua ricchezza sul commercio delle spezie e sui dazi doganali. Ora, all’inizio del XIX secolo, a commerciarle sono gli inglesi e i francesi. Dalle loro colonie d’oltremare arrivano navi cariche non solo di erbe medicinali, ma anche di zucchero, e tè, e caffè, e cioccolato. Il prezzo scende, il mercato di diversifica, i porti si aprono, la quantità di spezie aumenta. Non solo a Napoli, o Livorno, o Genova. A Palermo gli aromatari fondano una corporazione. Hanno persino una loro chiesa, Sant’Andrea degli Amalfitani.

Chiesa di S. Andrea degli Amalfitani [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa di S. Andrea degli Amalfitani [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Proseguiamo il percorso verso la Chiesa di San Domenico, una delle più importanti di Palermo, considerata il pantheon dei siciliani illustri, spesso sepolti o ricordati al suo interno. Non manca naturalmente una lapide a Vincenzo Florio. Doverosa, anche se estranea al tema del nostro itinerario, una sosta presso la tomba di Giovanni Falcone.

Chiesa di S. Domenico, tomba di Giovanni Falcone [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa di S. Domenico, tomba di Giovanni Falcone [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
La chiesa è ricca di capolavori ma rimaniamo affascinati dallo splendore dei marmi mischi, raffinata tecnica decorativa a tarsie marmoree, diffusa nella Sicilia occidentale tra il XVII e il XVIII scolo proprio per la ricchezza di marmi colorati e marmi brecciati estratti dalle cave di Castellammare, San Vito, Segesta, Erice, Trapani. Su una lastra di marmo, generalmente in marmo bianco, venivano ricavate delle cavità per l’incastro dei marmi colorati, circondati dal bianco risparmiato.

Chiesa di S. Domenico, Marmi mischi [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa di S. Domenico, Marmi mischi [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa di S. Domenico, Marmi mischi [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa di S. Domenico, Marmi mischi [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]

Paolo Florio non si godrà molto Palermo, morirà di tubercolosi a 35 anni. Più giovane di quattro anni, il fratello Ignazio riuscirà a guidare l’azienda Florio fino al 1828 rendendo famosa l’aromateria e intravedendo le potenzialità delle tonnare. Si prenderà inoltre cura del nipote Vincenzo, facendolo studiare e viaggiare – anche grazie all’amico Ingham – per istradarlo alla cura degli affari di famiglia.  Ma di Vincenzo parleremo nella prossima puntata…

[Maria Teresa Natale, travel designer, 29 dicembre 2020]

Bibliografia consigliata sui Florio:

  • Costanza Afan de Rivera, L’ultima leonessa: la vita di Giulia Florio, mia madre, Sperling & Kupfer, 2020
  • Simone Candela. I Florio, Palermo: Sellerio, 1986
  • Augusto Marinelli, Breve storia della Ceramica Florio, Torri del Vento, 2018
  • Anna Pomar, Franca Florio, Piemme, 2021
  • Vincenzo Prestigiacomo, I Florio: regnanti senza corona, Nuova Ipsa, 2017
  • Salvatore Requirez, Con gli occhi di Franca: diario del tramonto dei Florio, Nuova Ipsa, 2020
  • Salvatore Requirez, Ignazio Florio: il leone di Palermo, Nuova Ipsa, 2021
  • Francesco Terracina, Targa Florio: le Madonie e la gara più bella, Laterza, 2021

5 comments

  1. Articolo strapieno di inesattezze a cominciare dall’Emporio Giachery spacciato per la bottega dei Florio (Discesa Meli. L’Emporio era della famiglia di mia moglie). Paolo Florio non arrivò a Palermo col fratello Ignazio ma col cognato Paolo Barbaro, Ignazio venne a Palermo soltanto dopo la morte del fratello. I due bagnaroti sbarcarono a Palermo nell’ottobre del1799 e non nel 1797. E potrei andare avanti riempendo una pagina intera. Consultate i documenti d’epoca invece di attingere da libri scritti da non storici.

    • Senza il romanzo però pochi si sarebbero interessati alla storia di questa famiglia, e avrebbero avuto voglia di saperne di più, se non gli storici…

  2. Storia di un periodo meraviglioso della ns. città, vissuta da personaggi che l’hanno arricchita con il loro geniale lavoro. Complimenti agli autori che ci hanno portato a ricordare quella vita passata.

  3. Per coloro che non conoscono Palermo, questo è un fantastico tour dei luoghi in cui i Florio hanno lavorato e vissuto. Grazie mille da 4 amici in America che stanno leggendo I Leoni in italiano!

    Patrizia, Luisa, Eleonora e Karina

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