Passeggiata a Rebibbia-Torraccia tra immagini e colori

Chiamarlo minitrekking è riduttivo. Il cammino che domenica 9 giugno ci porta da Rebibbia a Torraccia, al contrario, è un super trekking, costellato di creazioni artistiche a cielo aperto che lasciano senza fiato. La partecipazione è alta, nonostante i 35 gradi e i 7 chilometri da percorrere nel pieno pomeriggio plumbeo, con un’afa che taglia il respiro e fiacca le membra. Non quelle del nostro gruppo, attratto dal percorso che ci guida tra i murales di Blu, Zerocalcare, Diamond, Pepsy fino al recente “Miglio d’Arte” di Torraccia, un modo rivoluzionario per inglobare a un lembo estremo di città la più inafferrabile delle infrastrutture: il Grande Raccordo Anulare.

L’appuntamento è al capolinea della metro B, Rebibbia appunto, “il quartiere del carcere” per dirla con Michele Rechnom de plume Zerocalcare – autore del benvenuto nella “terra dei mammut, tute acetate, corpi reclusi e cuori grandi”. È un’introduzione assolutamente efficace quella impressa sulla sua creazione, l’estinto bestione proboscidato che si staglia sul muro di mattoncini rossi della fermata metro e porta impressi sul dorso tutti i simboli del quartiere: un gigantesco 00156, codice postale della zona e orgogliosa rivendicazione di appartenenza insieme alle strade del circondario, le palme, i personaggi, le abitazioni. Michele, fumettista pluripremiato che ora si diletta a istoriare mura cittadine è nato qui, qui vive e descrive con minuzia la sua terra d’origine attraverso le immagini, il blog e pubblicazioni ad altissima tiratura.  E il mammut non è solo un simbolo rappresentativo ma motivo di orgoglio, tanto da dare vita a un comitato che porta il suo nome, nato il 25 aprile 2015, data simbolica per resistere, resistere, resistere ancora in un quartiere in cui, per dirla sempre con il mammut accogliente “qui manca tutto, non ci serve niente”.  E a cos’altro potrebbe aspirare questa parte di città, che ha regalato resti del Pleistocene superiore esposti in una invidiabile collezione, colpevolmente misconosciuta?

Stazione della Metro B Rebibbia con il murale di Zero Calcare [Foto: Massimo Leone, CC BY]
Stazione della Metro B Rebibbia con il murale di Zero Calcare [Foto: Massimo Leone, CC BY]
Il dialogo tra muralisti e cittadini è incrementato da simboli e immagini sulla parete opposta dove Pepsy Daniele Tozzi ci regala versi di una bella canzone/poesia di Fabrizio De Andrè – il sogno di Maria…per un giorno per un momento corsi a vedere il colore del vento – che prendono le forme di un cane seduto bianco e marrone. E ancora immagini di uccelli a raffigurare L’odio dello stesso autore, in omaggio al film di Mathieu Kassovitz che mette in guardia dal rancore in tutte le sue forme. Poi personaggi come il musicista Thelonious Monk di Diamond, omaggio al Roma Jazz Festival del 2013.

E se il Mammut ci ha accolto al capolinea della metro, non possiamo non ricambiare la cortesia raggiungendolo nelle sue sedi naturali. La prima si trova nei palazzi popolari di via Giovanni Palombini, in cui ogni angolo rammenta il comitato che porta il nome del bestione estinto.

Raggiungiamo la meta transitando in via Casal de’ Pazzi e l’evocazione della storica famiglia fiorentina che qui visse nel quindicesimo secolo è immediata. All’inizio del viale osserviamo i palazzi degli anni Ottanta, urbanistica dignitosa ma trascurata; è forte la componente dei migranti che gestiscono numerosi esercizi commerciali del quartiere, interessante la parrocchia del Sacro Cuore di Gesù a Ponte Mammolo realizzata da Tullio Rossi, l’architetto delle chiese romane per antonomasia.

Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù a Ponte Mammolo [Foto: GoTellGo, CC BY]
Parrocchia del Sacro Cuore di Gesù a Ponte Mammolo [Foto: GoTellGo, CC BY]
Arriviamo nell’uniforme complesso popolare in cui domina il grigio intervallato da piccoli inserti azzurri.

Complesso abitativo a Casal de' Pazzi [Foto: Massimo Leone, CC BY]
Complesso abitativo a Casal de’ Pazzi [Foto: Massimo Leone, CC BY]
Tali plumbee tonalità sono sconfitte all’ingresso dalla vertigine provocata dal murale di Blu “L’evoluzione della vita sulla terra”, creazione che riempie l’uggia di una cieca parete dei palazzoni. Una spirale avvolge lo spettatore raccontando l’uomo dalla creazione alla disgregazione, in un avvilupparsi di scenari ricolmi di tutti gli organismi viventi, immersi in un ambiente dai colori pastello su sfondo rosso e blu. Un bel colpo d’occhio: una parte muta dell’opprimente condominio grazie all’opera dell’uomo con gli uomini inizia a dialogare.

Casal de' Pazzi, Murale di Blu, L'evoluzione della vita sulla terra [Foto: GoTellGo, CC BY]
Casal de’ Pazzi, Murale di Blu, L’evoluzione della vita sulla terra [Foto: GoTellGo, CC BY]
Poco lontano, un muro nascosto rivela il concetto guida che ha portato a tutto questo: “Difennemo sta’ città a spada tratta, Roma è de tutti ma nun se baratta” c’è scritto, scontata la firma: “Comitato Mammut” ma in pochi la notano, intenti a decifrare la meraviglia del muralista Blu.

Casal de' Pazzi, Difennemo sta città a spada tratta [Foto: Giuseppina Granito, CC BY]
Casal de’ Pazzi, Difennemo sta città a spada tratta [Foto: Giuseppina Granito, CC BY]
Ci avviamo verso la seconda, più realistica ubicazione dell’elefante estinto, il Museo del Pleistocene, non senza notare i citofoni all’ingresso dei palazzi popolari: nessuno ha l’indicazione con il nome dei residenti, anche questi, come gran parte delle pareti dei palazzi, sono muti. La scena è comune in moltissimi complessi di questo tipo: Magliana, Corviale, Laurentino. Quale sarà il motivo?

Casal de' Pazzi, citofoni [Foto: Giuseppina Granito, CC BY]
Casal de’ Pazzi, citofoni [Foto: Giuseppina Granito, CC BY]
Arrivati al museo di Casal de’ Pazzi ci facciamo rapire dall’avvolgente rappresentazione “Riflessi”, opera di Jerico, che decora la parete esterna del museo. Tinte tenui quasi irreali, conducono in un antico paesaggio con mammut a passeggio e immagini riflesse nell’acqua e, all’ingresso, una scena del Pleistocene con paesaggio color seppia popolato di piante e animali.

Riprendiamo il cammino in via Ciciliano e altre opere continuano a stupirci. “Càpita” sempre di Blu, è la giostra allegorica della società dell’ingiustizia, intrico di tubi, combinazione del destino che suddivide l’umanità: da una parte i numerosi dannati – a marcire nella cloaca putrida con sorveglianti aguzzini in uniforme – dall’altra i privilegiati nell’accogliente piscina con banconote svolazzanti e camerieri a corredo.

Casal de' Pazzi, Murale di Blu, Càpita [Foto: GoTellGo, CC BY]
Casal de’ Pazzi, Murale di Blu, Càpita [Foto: GoTellGo, CC BY]
Sempre con Blu torna Rebibbia – filo rosso che lega molte delle espressioni artistiche impresse su grigie pareti – con la fine delle sbarre che vengono divelte da una incombente, aggressiva natura.

Casal de' Pazzi, Murale di Blu, Il carcere di Rebibbia [Foto: GoTellGo, CC BY]
Casal de’ Pazzi, Murale di Blu, Il carcere di Rebibbia [Foto: GoTellGo, CC BY]
E sul nostro cammino ancora immagini: una fiera a bocca aperta e ghigno feroce assaltata da aggressive ranocchie; e ancora l’omaggio a Giulia, bimba di via Palombini perita nel disastroso terremoto di Amatrice, omaggio di Gisel Rosso, fortemente voluto dal quartiere. Istanze comuni, espresse sui muri senza mediazioni “senza che ci caschi nulla dall’alto”, scrivono i residenti sulle pagine dei social.

Casal de' Pazzi, Murale in Via Ciciliano [Foto: GoTellGo, CC BY]
Casal de’ Pazzi, Murale in Via Ciciliano [Foto: GoTellGo, CC BY]
Alla fine della strada, sulla solita parete grigia seminascosto alla vista dei passanti, un bassorilievo in marmo “Mater Divini Amoris” con Maria, Gesù, gli angeli e lo Spirito santo a ricordare l’anno mariano del 1988, segno che oltre alle istanze social-egualitarie la devozione religiosa da queste parti è tenuta in seria considerazione.

Il cammino condito dall’afa dopo un po’ si fa pesante ma come un dono improvviso arriva un po’ di sollievo. Lo conquistiamo attraversando il parco di Aguzzano, sebbene incolto e trascurato come gran parte dei parchi di Roma.

Passeggiata nel Parco di Aguzzano [Foto: Massimo Leone, CC BY]
Passeggiata nel Parco di Aguzzano [Foto: Massimo Leone, CC BY]
Vediamo il Casale Alba 2 che propone ai residenti momenti di incontro e socializzazione. Nel verde la temperatura sembra addolcirsi e i grandi palazzi dei quartieri limitrofi, seppur vicini, ci appaiono molto lontani.

Arriviamo a San Basilio e il dialogo con le immagini riprende immediato. Il progetto SanBa partito nel 2014, voluto dai cittadini come a Casal de’ Pazzi, ricalca le stesse tematiche: denuncia sociale, desiderio di far riflettere il passante/spettatore, volontà di riscatto.

Il cuore della borgata risale all’inizio degli anni Trenta; nel dopoguerra fu il progetto Unrra, legato al piano Marshall, a completare l’urbanizzazione della zona, grazie all’intervento dell’architetto Mario Fiorentino. Anche qui le pareti parlano e raccontano di una collettività che vuole prendersi cura dei propri spazi in prima persona. Eloquente è in via Osimo l’immagine di un uomo seduto con innaffiatoio in mano: “The blind wall”, che richiama la facciata del palazzo senza finestre ora dialogante, grazie alle linee essenziali e precise del foggiano Agostino Iacurci. Un colpo d’occhio avvolgente dovuto al contrasto di colori, le immagini simboliche; è il richiamo a un immateriale “manifesto programmatico” di San Basilio, con gli abitanti che modellano il territorio in base ai propri desideri, arrivando perfino a realizzare – all’ingresso del quartiere – una inesistente fermata “fai da te” della metro B che qui non è mai arrivata.

Un messaggio di speranza arriva poco più avanti, in via Maiolati con Liqen e il suo implacabile rastrello rosso immortalato nella rappresentazione “El Renacer”. Attraverso i poderosi denti dell’attrezzo si spazza via il passato insieme ai detestabili simboli della società industriale liberando nuovi germogli di vita.

San Basilio, El renacer dell'artista Liqen [Foto: Giuseppina Granito, CC BY]
San Basilio, El renacer dell’artista Liqen [Foto: Giuseppina Granito, CC BY]
Una tappa significativa che richiede alcuni minuti di riflessione, utili a interpretare i messaggi che l’artista lancia, replicati nel vicino murale “El Devenir” di via Fiuminata, un’esplosione di fiori azzurri e stupefatti animali che invita all’ottimismo e sprigiona la volontà di un agire in positivo.

Sensazioni che per un attimo si perdono quando sfioriamo i viali che condurrebbero al centro dell’antica borgata e non possiamo fare a meno di ricordare gli eventi del 1974, passati alla storia come “la rivolta di San Basilio”, episodi di cruenti scontri tra polizia e occupanti delle case IACP, in cui perse la vita il giovane Fabrizio Caruso.

Continuiamo il cammino tra immagini e colori che ci pone di fronte a un interessante contrasto. Da una parte i vialetti, i piccoli cortili, i timidi elementi architettonici, gli intonaci sbiaditi delle case IACP del secolo scorso, modellate a misura d’uomo; dall’altra la vastità, la forza, l’intensità delle immagini proposte dai moderni, giganteschi affreschi su pareti in precedenza mute. Man mano, durante il percorso verso la meta finale, le pareti si perdono. Alle facciate cieche dei palazzoni popolari e di casette economiche si sostituiscono eleganti, asettiche palazzine di ultima generazione.

Dagli anni Ottanta qui si è sviluppato un nuovo quartiere che ha visto le ultime realizzazioni pochi anni fa, a ridosso del Gran Raccordo Anulare. Non ci spieghiamo come tale insediamento sia identificato col nome vagamente dispregiativo di Torraccia ma ci viene in soccorso lo sfogo di alcuni residenti sulle pagine facebook. “Zitti, parla un quartiere” esordisce così il post di una blasonata pagina fb romana. “Salve a tutti – continua – sono Torraccia o, come mi chiamano sulle cartine della città, Torraccia di San Basilio. Sono una zona di Roma nord posta nel triangolo raccordo/Nomentana/Tiburtina. Le mie case costano tanto ma ai miei abitanti non do nulla: sono un quartiere dimenticato da tutti”. Nulla di più eloquente, in grado di spiegare tutto ma il post data anno 2014, ne è passata di acqua sotto i ponti e oggi le cose sembrano aver preso una piega diversa.

Torraccia [Foto: GoTellGo, CC BY]
Torraccia [Foto: GoTellGo, CC BY]
Come una malattia contagiosa, la riscossa morale partita dalle borgate storiche di Rebibbia e San Basilio, si è diffusa fin qui e ha favorito il riscatto attraverso un’azione positiva messa in atto dai residenti: la riconquista di un parco. Quello che sulle pagine del social appariva come una landa desolata, abbandonata e in preda al degrado, oggi è uno spazio verde aperto al quartiere che ne ha fatto motivo di vanto, soprattutto perché è dotato di un elemento che ne costituisce il valore aggiunto: il “Miglio d’Arte”, l’opera di “street art” più lunga della Capitale.

Torraccia: il miglio d'arte [Foto: Massimo Leone, CC BY]
Torraccia: il miglio d’arte [Foto: Massimo Leone, CC BY]
E non solo. Inaugurato alla fine di maggio, questo museo a cielo aperto con i suoi 1260 metri di opere ininterrotte, 99 murales realizzati da 120 artisti e 200 pannelli è secondo per lunghezza solo al tronco di muro di Berlino noto come la “East side gallery”. Barriera antirumore, la chiamano.

Torraccia: il miglio d'arte [Foto: GoTellGo, CC BY]
Torraccia: il miglio d’arte [Foto: GoTellGo, CC BY]
In realtà il serpentone lungo il quale si snoda ogni tipo di rappresentazione è molto altro. Dal ricordo di Falcone e Borsellino a don Luigi di Liegro, passando per Stefano Cucchi e il capitano Ultimo. E ancora, frequenti incursioni nel mondo pasoliniano ricco di immagini, citazioni e un accenno alla meravigliosa canzone di Giorgio Gaber: “Non insegnate ai bambini la vostra morale… ma se proprio volete insegnate soltanto la magia della vita”. Poi tante immagini riferite alla terra, all’ambiente, alla natura.

Torraccia: il miglio d'arte [Foto: GoTellGo, CC BY]
Torraccia: il miglio d’arte [Foto: GoTellGo, CC BY]
Il Miglio è un palcoscenico che condensa e rappresenta i desideri di centinaia di cittadini che vogliono sentirsi parte integrante di Roma, metafora della riduzione della distanza tra le borgate e il centro, attraverso l’arte, il bello, la cura del proprio ambiente.

E questa caleidoscopica realizzazione ha un ulteriore pregio: la “contaminazione” tra i noti artisti Teddy Killer, Bol, Ike, Luca Hoek e altri cittadini appassionati tra cui alcuni alle prime armi. Anche questa è socializzazione e deve essere stato uno degli intendimenti di Franco Galvano, il 64enne con un passato da ferroviere ideatore del progetto che ha condiviso con Giuseppe Corbellini, il gruppo Retake di zona, i residenti di Torraccia che hanno investito diecimila euro per la realizzazione e il IV municipio che ha regalato assi di legno per le panchine. Un’azione corale per regalare, in tre anni, una “piccola Svizzera”, così è stato battezzato il Miglio d’Arte e annesso parco, una conquista che adesso tutti sentono come parte di se stessi e manterranno negli anni come prezioso tesoro di quartiere.

[Giuseppina Granito]

Minitrekking svolto il 9 giugno 2019

 

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