La salvezza per le donne afghane nella Street Art di Harry Greb

Il 31 agosto 2021 gli ultimi soldati americani completavano le operazioni di ritiro e sgombero definitivo da Kabul: di lì a pochi giorni la città, e l’Afghanistan tutto, ricadevano nelle mani del governo talebano, un regime tanto crudele quanto ottuso che, nonostante dicesse di voler applicare, una volta tornato al potere, forme di governo meno rigide e repressive rispetto a quanto fatto in passato, tuttavia già pochi giorni dopo il proprio reinsediamento dava avvio  a perquisizioni e ad altre forme di controllo arbitrario e prepotente, gettando la popolazione civile del paese nel terrore della repressione.

Come sempre accade, le categorie sociali che più patiscono i regimi oppressivi sono quelle più fragili, rappresentate dagli anziani e da coloro che necessitano di assistenza specifica, dai bambini e dai giovanissimi, e dalle donne.

I mezzi di comunicazione occidentali ormai da tempo informano l’opinione pubblica del mondo “libero” riguardo al repentino e durissimo peggioramento delle condizioni  di vita materiale del popolo afghano tutto, a cominciare dalla mancanza di medicine e di cibo; carenza, quest’ultima, che ormai sfiora la vera e propria carestia.

Altrettanto presente è, almeno in Italia, il dibattito intorno alle severissime restrizioni della libertà personale sofferte dalle donne afghane, spesso professioniste affermate nell’Afghanistan della ricostruzione post talebana (a seguito della cacciata dei Talebani nel 2001) e oggi repentinamente e drammaticamente costrette nuovamente a infilarsi il burqa, a soffocare i loro sguardi, i loro respiri, la loro libertà. E proprio delle donne afghane ci parla anche la Street Art: attraverso il loro sacrificio e la loro estrema esperienza di vita (o di sopravvivenza, sarebbe forse più indicato dire), noi tutti occidentali che godiamo della buona sorte di vivere in paesi democratici siamo venuti a conoscenza, già una ventina di anni fa, dell’oggetto burqa, e abbiamo dovuto sentir parlare di lapidazione per adulterio…

Le donne sono la “categoria” sociale della popolazione afghana più estesamente bersaglio dell’oppressione talebana, per ragioni note e complesse che non tratteremo in questa sede.

Lo street Artist Harry Greb sottopone alla nostra attenzione il problema in tutta la sua drammaticità.

Numerose sono le opere di Street Art che l’artista ha dedicato alla questione afghana. Fra questi  Rewind, un poster apparso nel quartiere Trastevere in Via Titta Scarpetta (purtroppo già scomparso) su cui è raffigurata una donna la cui sagoma, avvolta interamente da un burqa di un bel blu intenso che sfuma nel nero, è sollevata da terra da un elicottero dal tipico colore verde militare. Come se, riavvolgendo il nastro (rewind, appunto) e tornando indietro anche di poco tempo, pochi giorni prima o pochi giorni immediatamente dopo quel fatidico 31 agosto 2021, un deus ex machina militare (e, verosimilmente, occidentale) avesse potuto portarsi via e mettere in salvo le donne prima dell’inizio della fine, prima del ritorno dei talebani. Nulla di più, eppure tanto ci basta per restare colpiti dall’opera, sia per l’efficacia dell’immagine, sapientemente elaborata dai punti di vista cromatico e formale, sia per la forza drammatica del contenuto che essa offre. Due elementi iconografici (un solo elicottero, una sola donna) e una sola parola scritta (Rewind): con soli tre “pezzi” l’opera ci parla di guerra, di libertà negate, di fuga, di salvezza o di condanna, di vita o di morte.

[Chiara Morabito]

 

 

 

 

 

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