Le scarpe rosse di Laika e il tema del femminicidio

Mentre mi accingo a scrivere questo post sulla Street Art e il tema del femminicidio, mi rendo conto che il programma di videoscrittura non riconosce la parola “femminicidio”, me la segnala come errore con la consueta, sottile ma visivamente ingombrante riga a zig zag rossa…  È una constatazione che, in questo caso, oserei definire amara, quasi che questa carenza di vocabolario stia a simboleggiare un vuoto culturale, vale a dire la mancanza di una piena e definitiva presa di coscienza che questo drammatico fenomeno, di cui ormai spesso si parla e che tanto dovrebbe scuotere le coscienze ed imporre una reazione, beh, evidentemente ancora non è entrato pienamente nel nostro vocabolario e dunque nelle nostra consapevolezza di cittadini, di uomini e di donne (sebbene fra i linguisti il dibattito sul lemma sia in corso da anni, e sebbene il termine “femminicidio” sia apparso sull’edizione del 2009 del dizionario Devoto-Oli).

 Affrontato l’imprevisto lessicale, veniamo all’arte,  che in realtà già da tempo registra, rielabora e denuncia l’andamento sociale del femminicidio, in Italia e non solo. Molteplici, infatti, sono le opere di Street Art che, con immediato impatto, per strada e dunque sotto gli occhi di tutti, sottopongono allo sguardo, in qualsiasi momento, il tema in tutta la sua drammaticità.  

Ecco dunque le scarpe rosse della Street Artist Laika, apparse in via del Conservatorio nei pressi di San Paolo alla Regola proprio pochi giorni fa, a ridosso del 25 novembre, cioè della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. La data prescelta ricorda il massacro, avvenuto nell’ormai lontano 1960, di tre sorelle dominicane, Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, brutalmente violate e assassinate mentre si recavano a far visita ai loro mariti, detenuti. Dal 1960 ad oggi certamente consistenti sono stati i traguardi raggiunti in merito alla parità di diritti fra uomini e donne. Progressi ottenuti grazie alle lotte condotte da tantissime donne e (per fortuna) da tanti uomini, alle mobilitazioni locali e internazionali, alle iniziative politiche e alle campagne di sensibilizzazione promosse in molti paesi del mondo. Tuttavia, come tristemente noto, il fenomeno, antico e complesso, è ben lungi dall’essere sconfitto e superato, poiché esso affonda le proprie radici in mentalità sopraffattorie strutturatesi nel corso di secoli e, di fatto, ovunque nel mondo.

Laika, If you were in my shoes, 2021 [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / cortesia Barbara Piscini, CC BY NC SA]
Laika, If you were in my shoes, 2021 [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / cortesia Barbara Piscini, CC BY NC SA]
Ecco dunque l’opera di Laika, purtroppo vandalizzata e rimossa pochi giorni dopo la sua apparizione: una donna rannicchiata e nuda è seduta dentro una di due scarpe, rosse, a punta e con tacco quasi a spillo, dunque un modello di calzatura che rimanda a una femminilità seducente e quasi ai limiti dell’aggressività. E invece, drammaticamente, non vi è nulla di forte e sicuro in queste scarpe, al contrario: dalla pianta di una delle due colano rivoli di sangue. Questa scarpa e la donna che vi siede dentro sono poste di profilo, mentre frontale è l’altra calzatura, sulla cui suola interna sono scritte le parole “Una ogni tre giorni”, per ricordare il drammatico conteggio dei femminicidi in Italia, uno ogni tre giorni, dunque decine di donne ogni anno vittime della brutalità maschile.

Perché queste Zapatos rojos, cioè queste scarpe rosse? Si tratta di un palese, e solidale, richiamo alle scarpe raccolte ed esposte in spazi urbani dall’artista messicana Elina Chauvet, la quale appunto colloca centinaia di paia di scarpe femminili negli spazi aperti della collettività, cioè strade e piazze attraversate quotidianamente da centinaia di migliaia di uomini e donne. Scarpe sempre rosse, non a caso del colore della passione, della seduzione, e del sangue. Spesso la Chauvet ha esposto scarpe calzate a suo tempo da donne che ora non ci sono più, vittime appunto della violenza “machista”. Con questa opera di arte pubblica l’artista messicana ha voluto comporre una marcia, silenziosa e assordante al tempo stesso, delle donne scomparse (uccise e/o desaparecidas), per ricordare, attraverso l’impatto visivo dell’opera, l’impressionante quantità di donne che hanno subito la prepotenza maschile. La nazionalità dell’artista non è casuale, il Messico infatti è uno dei paesi del mondo in cui più feroce è il tasso di femminicidi, e Ciudad Juárez, la città messicana da cui la Chauvet ha dato avvio al progetto di Zapatos rojos, è tristemente nota per registrare uno dei primati più alti al mondo di violenza contro le donne. Il messaggio e la forza dell’impatto visivo dell’installazione della Chuavet coinvolgono anche artiste di altre nazionalità, e l’italiana Laika ne ha rielaborato così il lavoro, rendendo dunque omaggio alla collega artista e a tutte le donne vittime di violenza, a quelle che non ci sono più e a quelle che con dolore ma anche con incommensurabile coraggio, sopravvivono, reagiscono, denunciano e cercano, disperatamente ma con forza, di riprendersi il loro diritto a esistere.

Per approfondire:

[Chiara Morabito]

 

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