Visita al MAAM: sentirsi parte del Museo dell’altro e dell’altrove

Utopia periferica: la luna non è di nessuno e nessuno la può comperare. E tutti possono raggiungerla, almeno con la fantasia. Ce lo spiegò a inizio Novecento lo scenografo e regista francese Georges Méliès, che con il suo Voyage dans la lune, antesignano dei film di fantascienza, conquistò il mondo. Ci hanno riprovato a Roma Giorgio de Finis e Fabrizio Boni, a partire dal 2011 insieme a uno dei più riusciti melting pot romani: Metropoliz.

Roma, Metropoliz [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2012, CC BY NC SA]
Roma, Metropoliz [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2012, CC BY NC SA]
E in questo caso non serve fare ricorso a paralleli cinematografici perché neanche la fervida fantasia di Fritz Lang avrebbe immaginato l’utopia nata all’estrema periferia della capitale. Via Prenestina 913, cuore di Tor Sapienza. Quello che fu il salumificio Fiorucci svetta abbandonato e maestoso dagli anni Settanta, quando i proprietari decidono di trasferirsi. In quell’edificio con torretta e bidoni in cima a mo’ di astronave, mattoncini in cotto testimoni di un discutibile passato – che solo a pensarci metteresti al bando tutti i tipi di affettato – più di un trentennio dopo si verifica un prodigio. Come in molti altri stabili pubblici o privati dismessi, prende il via una di quelle vicende romane che non vedranno mai un epilogo. Inizia tutto il 27 marzo 2009, quando gli ultimi della città, guidati dai Blocchi precari metropolitani occupano l’immobile acquistato nel 2003 dal colosso delle costruzioni Salini per quasi 7 milioni di euro. Il progetto prevede una bonifica del sito e la sua riconversione in residenze: 50 mila metri cubi di casette, con piccola parte ceduta al Campidoglio per tamponare l’emergenza abitativa. Ma, come nella migliore tradizione capitolina, la variante di destinazione d’uso richiede ben dieci anni, con nulla osta dell’assemblea dell’aula Giulio Cesare votato solo nel 2013, a stabile già occupato e riconvertito a città ideale.

Roma, MAAM, Museo dell'altro e dell'altrove [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2019, CC BY NC SA]
Roma, MAAM, Museo dell’altro e dell’altrove [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2019, CC BY NC SA]
“L’insieme è più forte dei singoli”. Lo slogan, su un muro vicino all’edificio che visiteremo, riassume bene la storia della comunità che vive in Metropoliz. Via Prenestina chilometro 7, vicino al raccordo dove la città un tempo finiva. Tor Sapienza è il toponimo che nelle intenzioni del cardinal Domenico Pantagati, più noto come Capranica, doveva nobilitare quest’area sconfinata e misteriosa, in cui nel XIII secolo sorse una torre merlata, circondata dal casale della storica famiglia Boccamazzi. Dopo vari passaggi, l’edificio acquistato dal Capranica nel 1457, divenne sede del collegio perugino di San Girolamo rinominato “Sapienza nuova” e il casale divenne Tor Sapienza, con relativa tenuta. Soltanto negli anni Venti, grazie all’intraprendenza del ferroviere molisano Michele Testa nacque la cooperativa “Tor Sapienza dell’Agro Romano”, insieme a 25 abitazioni economiche. Poi con un altro centinaio di casette si dette ufficialmente vita, nel 1923, alla borgata Tor Sapienza con scuola, chiesa e condotta medica. Una tra le prime, con forte connotazione operaia e antifascista, che anticipò quelle ufficiali volute dal regime negli anni Trenta.

Roma, Via Prenestina, Tor Tre Teste [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, , 2019, CC BY NC SA]
Roma, Via Prenestina, Tor Tre Teste [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, , 2019, CC BY NC SA]
In tempo di guerra la torre fu utilizzata dai tedeschi come deposito di munizioni, fatto poi brillare durante la ritirata, con l’inevitabile crollo. Un accurato restauro del nuovo proprietario permette oggi di ammirare ciò che resta. Ulteriore punto di interesse, la vecchia cappella di Sant’Anna, a lungo unica chiesa della borgata. Accanto all’ingresso sulla consolare, nascosto dalla vegetazione incolta, un bassorilievo con tre teste, probabilmente prelevate da un sarcofago romano. Da qui l’altro toponimo di Tor Tre Teste.

Arte antica e arte nuova. Sulle mura esterne della città meticcia ci accoglie l’imponente facciata che con Borondo e Kobra celebra il Nobel Malala e la sua lotta per il diritto all’istruzione delle donne, insieme alle istanze per la pace e il dialogo tra religioni.

Roma, MAAM, Museo dell'altro e dell'altrove, Kobra, volto di Malala Yousafzai [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2020, CC BY NC SA]
Roma, MAAM, Museo dell’altro e dell’altrove, Kobra, volto di Malala Yousafzai [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2020, CC BY NC SA]

Viaggio sulla luna

Nihil difficile volenti”: con la forza di volontà si superano ostacoli e difficoltà. Immortalando il motto su una parete dell’edificio, l’artista Pasquale Altieri ha sicuramente voluto alludere all’epopea della rivoluzione gentile nata all’interno di quel cancello celeste, che ha visto le comunità peruviane, romene, marocchine, tunisine, ucraine, polacche, eritree, italiane e rom unite a sognatori come l’antropologo Giorgio de Finis e il regista Fabrizio Boni, che con il documentario Space Metropoliz e il coinvolgimento di intellettuali da tutto il pianeta, a partire dal 2011, hanno fatto dell’ex salumificio la “città dell’altro e dell’altrove”. Alla base di tutto la convivenza meticcia, esperimento urbano che ha consentito a questo spazio di aggregare artisti, sociologi, architetti, musicisti, liberi pensatori, tutti uniti dal desiderio dell’allunaggio per cercare un mondo altro, scevro da condizionamenti, pregiudizi, persecuzioni dell’autorità costituita con minacce di sgombero. Strumento principale di coinvolgimento il missile di cartone realizzato dalla comunità con tanto di rampa di lancio, realizzata con materiali di risulta, in quello che è diventato un vero e proprio laboratorio sperimentale di convivenza per 200 persone.

Roma, MAAM, Museo dell'altro e dell'altrove, resti del razzo per la luna [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2019, CC BY NC SA]
Roma, MAAM, Museo dell’altro e dell’altrove, resti del razzo per la luna [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2019, CC BY NC SA]
E insieme alla luna che tutti vogliono raggiungere, perché cancella distinzioni e disuguaglianze, arriva l’arte. L’occupazione si fa museo: una collezione irripetibile non solo di opere ma di vite. Ci siamo capitati un sabato mattina quando il cancello celeste, pieno di cassette postali con cognomi ben impressi si apre e consente a chiunque di immergersi in una esperienza inimmaginabile, senza prenotazione né biglietto. Se si vuole, soltanto una donazione. L’indizio è sul muro di ingresso: l’immagine del gatto Stregatto ci avvisa che di meraviglie ne vedremo parecchie, sebbene un dissacrante “Fart” a caratteri cubitali in cima alla palazzina di accesso alluda alla evanescenza dell’espressione artistica.

Roma, MAAM, Museo dell'altro e dell'altrove, Mauro Cuppone, FART [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2019, CC BY NC SA]
Roma, MAAM, Museo dell’altro e dell’altrove, Mauro Cuppone, FART [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2019, CC BY NC SA]

Alieni e terrestri

L’impatto con la prima sala lascia stupefatti. Sarà la luce crepuscolare o l’anomala spazialità, saranno i canoni stravolti degli allestimenti o la sorpresa della trasformazione di oggetti di uso comune a nuova vita, tutto concorre a instradarti su un percorso non convenzionale, un’esperienza trascendentale. Sì, perché in un luogo in cui un cartello ti mette in guardia su una possibile invasione degli alieni alle 17,17 in punto ma anche no, ti aspetti di tutto. Nulla però lascia presagire la potenza espressiva che più di 400 artisti hanno impresso a questi spazi.

Roma, MAAM, Museo dell'altro e dell'altrove, Sala comune, Lucamaleonte, An amazing adventure in space [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2012, CC BY NC SA]
Roma, MAAM, Museo dell’altro e dell’altrove, Sala comune, Lucamaleonte, An amazing adventure in space [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2012, CC BY NC SA]
Si ha la sensazione di trovarsi in un luogo ipnotico, tanta è la compenetrazione tra opere e ambiente che, a sua volta, crea empatia tra artista e pubblico. Pur non essendo il primo esperimento romano di contaminazione tra arte e vissuto – Centrale Montemartini ed ex Mattatoio insegnano – il MAAM ha qualcosa in più: l’essere fuori da schemi precostituiti. Una esposizione scaturita nella massima libertà, in un contenitore che fu di morte e ora è di vita. Con le abitazioni, i cortiletti, le piantine, gli arredi da giardino che fanno da contorno a immagini dei più celebrati artisti del mondo al cospetto della quotidianità, messaggi che perdono la sacralità della istituzione per immergersi profondamente nella vita di ognuno.

Roma, MAAM, Museo dell'altro e dell'altrove, Spazi abitati al primo piano [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2021, CC BY NC SA]
Roma, MAAM, Museo dell’altro e dell’altrove, Spazi abitati al primo piano [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2021, CC BY NC SA]
Così, accanto allo stupefacente affresco trovi la tendina ricamata comprata al mercatino di quartiere, che ti segnala l’ingresso di un appartamento con numero civico bene in evidenza. O ancora, nella sala stenditoio sorprendi frotte di bambini in bici o monopattino da schivare con attenzione mentre osservi le opere. E un gatto nero e affettuoso ti guida nelle sale strofinandosi alle tue gambe. Brio e cupezza, forse è questo il segreto del MAAM, l’antinomia che ti accompagna per tutto il percorso.

Roma, MAAM, Museo dell'altro e dell'altrove, gatto nero [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2020, CC BY NC SA]
Roma, MAAM, Museo dell’altro e dell’altrove, gatto nero [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2020, CC BY NC SA]

Arte e vita

Dalle espressioni più vitali a sfumature intime, da solari e radiosi slarghi a sale oscure di passate torture, tutto concorre a scavare un solco interiore che ti porterai dentro per sempre. Ė la potenza di un’arte primigenia, energia totale che sfugge a ogni definizione. Come il pugno nello stomaco che ti coglie al cospetto del fantoccio di bambina in burqa o del migrante sfibrato sul canotto. “Migro, migrai, migrerò” è lo slogan-Leitmotiv che ti accompagna in tutto il percorso.

Roma, MAAM, Museo dell'altro e dell'altrove,la calciatrice afghana Nadia Nadim rifugiata in Danimarca [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2018, CC BY NC SA]
Roma, MAAM, Museo dell’altro e dell’altrove,la calciatrice afghana Nadia Nadim rifugiata in Danimarca [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2018, CC BY NC SA]
Ė impresa ardua catalogare, elencare, citare, ricordare tutti coloro che si sono spesi in spazi e anfratti, su pareti e soffitti, in cortili, terrazze, porte, vetrate, scale, tavoli del capiente refettorio dello stabilimento delle sorprese. Una torre di Babele, come quella impressa su una parete dei piani superiori, che comunque ritrova un linguaggio comune. Vivere uno spazio privo di ordito, in continua evoluzione, che rifiuta simmetrie predisposte induce un lieve stupore. Percorsi che rimandano al passato, richiamano il presente, evocano il futuro. Come non provare un senso di sicurezza, al cospetto di guerrieri bardati con tanto di lancia nel corridoio di ingresso? Figure inquietanti e protettive de L’ultima battaglia di Stefania Fabrizi, silenzioso esercito a difesa del fortino occupato.

Roma, MAAM, Museo dell'altro e dell'altrove, Stefania Fabrizi, L'ultima battaglia [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2020, CC BY NC SA]
Roma, MAAM, Museo dell’altro e dell’altrove, Stefania Fabrizi, L’ultima battaglia [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2020, CC BY NC SA]
Come non rabbrividire di fronte all’affresco della Cappella Porcina  di Pablo Mesa Capella e Gonzalo Orquín, violento tuffo nel percorso dei maiali verso la morte? Di fronte, la mattanza delle donne vittime di femminicidio rivive nelle Zapatos Rohos di Elina Chauvet. Duschen für Schweine, docce per i maiali, un cartello con evidente allusione a una stagione da non rivivere e le vasche di raccolta del sangue, con opere di Nicola Alessandrini e Vincenzo Pennacchi, richiamano ciò a cui queste pareti hanno assistito per anni. Segni e colori, linee e immagini che si riflettono negli strumenti di tortura di un tempo. A stemperare il tutto la ludoteca e sala studio con le dolcezze turchesi di Alice Pasquini e Veronica Montanino o il corridoio con il neonato Mondo n’Uovo di Leo.

Roma, MAAM, Museo dell'altro e dell'altrove, Mauro Cuppone, Duschen fuer Schweine [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2018, CC BY NC SA]
Roma, MAAM, Museo dell’altro e dell’altrove, Mauro Cuppone, Duschen fuer Schweine [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2018, CC BY NC SA]
Doni di artista

Lo stupore assoluto arriva nel salone bianco/giallo con colonne grondanti oggetti quotidiani, destinati alla discarica ma qui riportati a nuova vita. E come una illuminazione, cogli la differenza tra il museo tradizionale e il MAAM. Non è un caso se gli acronimi sottolineano parallelismi e distanze. C’è un’arte aulica, statica, da osservare, apprezzare o detestare che resta aliena e c’è, al contrario, il racconto non preordinato, spontaneo, fondato sul continuum, sulla sovrapposizione di elementi ed episodi, un’asimmetria creativa ed eretica che parla a chi la osserva. Ecco, questo è il museo dell’altro e dell’altrove, un non-progetto fondato sul dono che l’artista ha concesso a tutti coloro che sanno apprezzarlo più che un oggetto di mercato. Così, da Lucamaleonte che impreziosisce i tavoli dell’ampia cucina, a Hogre, con il suo omino che risale la torre verso la Luna dove è puntato il telescopio di barili sovrapposti, realizzato da Gian Maria Tosatti.

Roma, MAAM, Museo dell'altro e dell'altrove, Mauro Cuppone, Telescopio [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2019, CC BY NC SA]
Roma, MAAM, Museo dell’altro e dell’altrove, Mauro Cuppone, Telescopio [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2019, CC BY NC SA]
Arte dissacrata, guerra al conformismo e nelle stanze interne Mr. Klevra, Guerrilla Spam, Diamond, Solo, Hopnn, Cancelletto, Mr. Fijodor, Gojo, Nemo’s, Omino71, Vesprini, Pistoletto, Alessandrini e Pistone. Paolina Borghese, La Pietà, i Bronzi di Riace, un pot pourri di libere reinterpretazioni. E la piazza di una città ideale che diventa di tutto il popolo, profanando le geometrie perfette attribuite a Leon Battista Alberti. E ancora, una L.U.N.A. incastonata da Massimo De Giovanni fra le travi del soffitto del cortile interno, cuori sezionati, falli che generano, occhi segreti che osservano. E una targa che avverte che “per essere felici bisogna essere coraggiosi”. E ancora, la speranza nel futuro incarnata dalla corsa liberatoria di un bimbo a braccia sollevate a mo’ di volo. Naturalmente sulla luna.

Roma, MAAM, Museo dell'altro e dell'altrove, Massimo De Giovanni, L.U.N.A. [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2019, CC BY NC SA]
Roma, MAAM, Museo dell’altro e dell’altrove, Massimo De Giovanni, L.U.N.A. [Foto: Archivio Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, 2019, CC BY NC SA]
[Giuseppina Granito]

 

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