A piedi da Ortona a Fossacesia lungo la Via Verde dei Trabocchi

Proseguiamo con il racconto della seconda tappa del nostro cammino a piedi da Pescara al Porto di Vasto: oggi ci dedichiamo al tratto da Ortona all’Abbazia di san Giovanni in Venere a Fossacesia, che abbiamo percorso per lo più lungo la ciclopedonale, nota come Via Verde dei Trabocchi.

Ci eravamo lasciati nel centro storico di Ortona e da lì riprendiamo il cammino di primissima mattina: ci aspetta un percorso di circa 20 chilometri, che percorreremo molto lentamente a causa delle tante soste “paesaggistiche”.

Riscendiamo a valle dalle scalette che costeggiano il lato meridionale del Castello aragonese, dopo aver percorso la Passeggiata orientale del Rione Terravecchia, da cui si gode di un bellissimo panorama sul porto industriale di Ortona.

Il porto di Ortona visto dal Castello Aragonese [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Il porto di Ortona visto dal Castello Aragonese [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Superata la ferrovia Adriatica (Ortona ha anche la stazione), ci immettiamo subito sulla ciclopedonale, dipinta di verde. All’altezza di un alto viadotto, prima di svoltare a sinistra, verso il mare, ci incuriosisce un’inaspettata lunghissima fila di macchine, scopriremo che sono quelle di chi è in attesa di farsi un tampone presso gli stand della Croce Rossa.

Oltrepassati i piloni del viadotto, decorati da murali a soggetti per lo più marini, finalmente raggiungiamo la Via Verde, una ciclopedonale di 50 km in via di completamento tra Francavilla al Mare e San Salvo, oltre Vasto. Il tratto tra Ortona e Marina di Fossacesia è già stato completato.

Ortona, murale all'imbocco della Via Verde dei Trabocchi [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Ortona, murale all’imbocco della Via Verde dei Trabocchi [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Per chi non lo sapesse, la ciclopedonale è stata realizzata sfruttando il percorso dell’ex Ferrovia Adriatica, inaugurata addirittura dal re Vittorio Emanuele II nel 1863. Mentre giochiamo con la nostra ombra sulle pareti delle gallerie recuperate, ci emozioniamo al pensiero che poco più di cent’anni fa qui passava la Valigia delle Indie, trainata da una fumante locomotiva a vapore che raggiungeva i cento chilometri orari: parliamo nientemeno che del Peninsular Express,  attivo per quasi un cinquantennio tra il 1869 e il 1914, che una volta alla settimana, con partenza da Londra il venerdì alle 21, effettuava la tratta Londra-Brindisi- Bombay per il trasporto della posta e dei viaggiatori (44 ore in treno da Londra a Brindisi, 22 giorni in piroscafo da Brindisi a Bombay via Alessandria d’Egitto e Canale di Suez) .

Ortona, Percorso ciclopedonale ricavato sul tracciato della ex Ferrovia Adriatica [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Ortona, Percorso ciclopedonale ricavato sul tracciato della ex Ferrovia Adriatica [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
La ferrovia continuò a essere utilizzata anche successivamente, durante la prima guerra mondiale per trasportare treni armati che dovevano fronteggiare gli attacchi delle navi della flotta imperiale austriaca e in ambedue i conflitti per trasportare truppe e armamenti. Solo nel 2005 venne dismessa a favore della nuova e più moderna ferrovia, costruita poco più a monte. C’è da dire che dovunque troveremo infrastrutture della primitiva ferrovia – traversine, binari, bulloni, piastre – riutilizzati come pali di trabocchi, scalette, pioli, passarelle…

Ortona, Percorso ciclopedonale ricavato sul tracciato della ex Ferrovia Adriatica [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Ortona, Percorso ciclopedonale ricavato sul tracciato della ex Ferrovia Adriatica [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
La passeggiata è piacevolissima, l’aria frizzante e il cielo variabile, sulla destra le vecchie casette della ferrovia, talvolta ristrutturate egregiamente si alternano ai campi coltivati, di tanto in tanto scalette e sentierini conducono a strutture per il soggiorno dei turisti durante la stagione balneare.

Ortona, scivoli per il tiro delle barche [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Ortona, scivoli per il tiro delle barche [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Ed ecco che finalmente arriviamo al primo trabocco, quello della Mucchiola, siamo emozionatissime e ci avviciniamo dal lato della spiaggia alla scaletta di accesso per osservarlo da vicino, facendo attenzione a non rientrare nell’orbita degli schizzi prodotti dalle onde.

Selfie al Trabocco della Mucchiola [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Selfie al Trabocco della Mucchiola [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Da qui a Fossecesia, ne incontremo ben diciassette (Mucchiola, Vento di Scirocco, San Giacomo, Punta Fornace, Turchino, Caravaggio, Lupone, Valle Grotte, Punta Tufano, Sasso della Cajana, Punta Isolata, Punta Torre, Spezzacatena, Punta Cavalluccio, Punta Punciosa, Pesce Palombo, Punta Rocciosa) che prendono il nome da toponimi e attività locali, personaggi, pesci e animali.

San Vito Chietino: Trabocco Lupone [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
San Vito Chietino: Trabocco Lupone [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Tante volte ne avevamo sentito parlare, ma non li avevamo mai visti (se escludiamo i cugini “bilancioni alla Foce del Tevere2), così abbiamo cercato di capire meglio origini e funzionamento di questi “guerrieri nella tempesta che in questa vista resistono aggrappati ad un lembo di costa che merita eternità [Dino F.]: si tratta di piattaforme ancorate su rocce vicine alla costa, talvolta nei pressi di promontori, per mezzo di grossi tronchi di pino d’Aleppo, assai diffuso in zona e resistentissimo alla forza delle onde, alla salsedine e al vento, talvolta rinforzati con segmenti di binari dismessi della vecchia ferrovia.

San Vito Chietino: Trabocco Vento di Scirocco [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
San Vito Chietino: Trabocco Vento di Scirocco [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Una lunga passerella consente di raggiungere la piattaforma dalla quale si allungano, protendendosi verso il mare, le “antenne”, lunghi bracci mobili attraverso i quali vengono pilotate le reti a maglie strette che – pensate – sono chiamate “trabocchetti”, vere e proprie trappole per i pesci e molluschi di passaggio! Di norma, tra le due e le quattro persone chiamate “traboccanti” azionano gli argani collegati alle reti, che rimangono calate per molte ore prima di essere ritirate.

San Vito Chietino: Trabocco Punta Rocciosa [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
San Vito Chietino: Trabocco Punta Rocciosa [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Pare che i trabocchi, inizialmente, fossero nati come piattaforme su palafitta da utilizzare come “caricatoi-scaricatoi” a uso delle imbarcazioni di piccolo e medie cabotaggio che trasportavano via mare, lungo costa, prodotti agricoli e legname verso i mercati di regni e repubbliche confinanti (Napoli, Venezia, la Dalmazia…) e verso la stessa costa abruzzese per rifornire i coloni impiegati nel dissodamento e nella deforestazione dei terreni da adibire a uso agricolo. Venuta meno la funzione originale, è probabile che le piattaforme siano state riutilizzate e modificate per la pesca, sfruttando quando possibile anche gli ottimi materiali di scarto della ferrovia.

San Vito Chietino: Trabocco Punta Torre [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
San Vito Chietino: Trabocco Punta Torre [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Oggi la maggior parte dei trabocchi non svolge più la sua funzione originaria, molti di essi sono stati trasformati in ricercati ristoranti di pesce (tutti rigorosamente chiusi nel periodo invernale), ma qualche traboccante ancora resiste.

È il caso di Claudio Ambrosini, pescatore per passione, al Trabocco Punta Torre: ci vede da lontano e ci invita a visitare la sua piattaforma. Si autodefinisce “il custode del mare” e quasi ogni giorno, da più di vent’anni, si reca al suo trabocco, risalente alla metà dell’Ottocento. All’interno del capanno, ci offre una bruschetta con olio di oliva, densissimo per il freddo pungente, e poi ci mostra il funzionamento di pali, reti, carrucole. Grazie Claudio per averci omaggiato dei tuoi racconti, non solo custode del mare, ma anche custode della memoria di un mestiere in via di estinzione e di uno dei pochi trabocchi ancora di proprietà demaniale.

Claudio Ambrosini, il custode del mare e della memoria del Trabocco Punta Torre [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Claudio Ambrosini, il custode del mare e della memoria del Trabocco Punta Torre [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
E come non citate il Trabocco Turchino, a pochi passi dall’Eremo dannunziano, nel territorio di San Vito Chietino, dove nel 1889 il poeta trascorse l’estate assieme all’amante Barbara Leoni, la “bella romana”, e trasse ispirazione per il romanzo Trionfo della morte?

E proprio a San Vito Marina, dopo aver omaggiato i Caduti del mare nei pressi del monumento a loro dedicato, ci fermiamo per una breve sosta in uno dei caffè-pasticceria dove assaggiamo i tipici bocconotti abruzzesi, dolcetti di pasta frolla, ripieni di cioccolata o confettura di uva.

Colazione di mezza mattina a San Vito Chietino [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Colazione di mezza mattina a San Vito Chietino [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Prima di riprendere la ciclopedonale ci fermiamo a fotografare un piccolo gioiello di archeologia industriale di fine Ottocento, la vecchia fornace dei fratelli Ciampoli che impiegava almeno 130 operai per la produzione di manufatti in laterizio destinati al mercato locale e trasportati via mare sino in Dalmazia. Il forno Hoffman a fuoco continuo, ancora ben conservato all’interno, rimase in uso fino agli anni Sessanta quando l’attività fu interrotta a causa di una grave alluvione. Ormai in disuso da più di cinquant’anni, lo stabilimento è stato sottoposto a vincolo, ma ancora non sono stati avviati progetti per un suo recupero.

San Vito Chietino: la ex Fornace Ciampoli [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
San Vito Chietino: la ex Fornace Ciampoli [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Peraltro, a pochi passi, si localizza un sito di importanza comunitaria, il Fosso delle Farfalle, estremamente interessante per l’eterogeneità degli habitat, che certamente merita una passeggiata di approfondimento.

Il nostro cammino prosegue lento: ogni trabocco, ogni spiaggia, ogni punta, meritano una sosta per godere della bellezza del paesaggio.

San Vito Chietino: in cammino [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
San Vito Chietino: in cammino [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Presso un porticciolo, osserviamo incuriosite gli attrezzi da pesca ordinatamente impilati accanto al camminamento che costeggia gli scivoli delle barche. Non c’è nessuno purtroppo che ci possa raccontare qualche dettaglio sulle tecniche di pesca e sul pescato.

San Vito Chietino: attrezzi per la pesca [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
San Vito Chietino: attrezzi per la pesca [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
A metà pomeriggio arriviamo a Fossacesia Marina: essendo inverno non abbiamo trovato alloggi sul mare e siamo costrette a salire in collina, in parte camminando sulla Strada Statale 524, in parte sulla Strada Provinciale San Giovanni in Venere, in parte tagliando attraverso un vigneto. Ben venga, perché così abbiamo modo di visitare anche la magnifica abbazia, sita là dove anticamente era situato un tempio dedicato a Venere Conciliatrice.

Fossacesia: verso l'Abbazia di San Giovanni in Venere [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Fossacesia: verso l’Abbazia di San Giovanni in Venere [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
L’abbazia di San Giovanni in Venere, databile al XII secolo, è molto grande, dotata di un annesso monastero e di un ampio chiostro accessibile da una delle navate della chiesa. Se vi capita di visitarla non mancate di osservare il bellissimo portale duecentesco noto come “Portale della Luna” con l’interessantissima deesis superiore (Cristo benedicente tra la Madonna e San Giovanni Battista).

Abbazia di San Giovanni in Venere; portale sud [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Abbazia di San Giovanni in Venere; portale sud [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Nella cripta si conservano preziosissimi affreschi del XII e XIII secolo. Nell’affresco centrale, oltre a Cristo, san Giovanni Battista, la Madonna in trono con il bambino e i santi Michele e Nicola di Bari, si nota anche la figura di San Benedetto. Non è un caso: infatti, nel VI secolo quando il santo era ancora in vita, giunsero qui alcuni discepoli guidati dal monaco Martino per avviare la costruzione di un monastero benedettino là dove sorgeva un monumento pagano.

Abbazia di San Giovanni in Venere: affreschi medievali nella cripta [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Abbazia di San Giovanni in Venere: affreschi medievali nella cripta [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
È ormai buio quando raggiungiamo a una decina di minuti a piedi dall’abbazia il B&B C’era una volta, assolutamente raccomandabile, ed eccezionale esempio di intelligente riuso di strumenti e attrezzi vintage negli arredi delle camere, del giardino e degli spazi comuni. Ci accoglie la gentilissima Daniela, che si fa in quattro per rendere piacevolissimo il nostro soggiorno e risolvere qualche problema logistico legato alla nostra prossima tappa.

Terminiamo la serata con un primo di pesce presso il familiare ristorante il Bucco nel paese di Fossacesia dove facciamo la conoscenza del simpaticissimo Sky, volpino della Pomerania: ha un difetto a una zampina e pur essendo di razza non avrebbe mai trovato un acquirente: così la proprietaria del locale lo ha adottato e con la sua simpatia intrattiene i clienti.

Fossacesia: volpino della Pomerania [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Fossacesia: volpino della Pomerania [Foto: Associazione culturale GoTellGo, CC BY NC SA / Maria Teresa Natale]
Vogliamo terminare il racconto di questa giornata con la considerazione che la Via Verde dei Trabocchi rappresenta un esempio veramente indovinato di turismo sostenibile. Tutti coloro che abbiamo incontrato ci hanno detto come finalmente, grazie alla ciclopedonale, questo meraviglioso tratto di costa non venga più fruito solamente dal turismo balneare di massa, presente soprattutto nei messi estivi, ma che ormai ciclisti, camminatori e amanti del turismo lento sono attratti sempre più, in ogni stagione, dalla Costa dei trabocchi, che ha veramente tanto da offrire in termini di varietà paesaggistica, gastronomia, ricettività e ospitalità.

[Maria Teresa Natale, Susanna Quaranta]

One comment

  1. Mi accingo a fare questa tappa del cammino
    Grazie delle preziose informazioni
    Mi avete dato uno stimolo in più…

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