Riprendiamo il nostro cammino di buonora per affrontare la lunghissima tappa che da Maddaloni ci condurrà a Montesarchio. Appuntamento con tutto il gruppo alle otto di mattina al bar Sweet in via Ponte Carolino (aperto fin dalla primissima mattina), proprio di fronte a una stele funeraria romana murata all’altezza del Trivio San Giovanni.
Salutiamo i genitori di Domenico che ci augurano un buon cammino dal balcone della loro abitazione, scattiamo una foto ricordo di fronte alla farmacia di famiglia attiva sin dal 1829, sorpassiamo una delle tante effigi di Padre Pio presenti lungo il percorso e ci lasciamo Maddaloni alle spalle.
Attraversiamo una serie di frazioni, mantenendoci sull’Appia: Montedecoro che conserva ancora al civico 230 la targa di plastica della vecchia sezione della Democrazia Cristiana intitolata ad Aldo Moro; superato il fosso dell’Aia, Messercola, frazione del Comune di Cervino, dove una vecchia lapide ricorda che un tempo questo era “Collegio elettorale di Caserta, Distretto di Caserta, Provincia di Terra di lavoro”, la fertile regione campana nota col nome di Terra Laboris sin dal Medioevo, soppressa da Mussolini nel 1927.
Seguendo il rettifilo raggiungiamo Santa Maria a Vico. In epoca romana qui avremmo incontrato la mutatio ad Novas per il cambio dei cavalli e per ristorarsi in una delle tabernae (a sei miglia dall’antica Calatia).
Ai lati delle porte, sono visibili quattro o cinque numeri civici accanto ad ogni portone, memoria dello sviluppo urbanistico lungo la via Appia nel corso dei decenni.
A Piazza Umberto I facciamo una sosta. Di anno in anno, grazie al contributo dei cittadini, vengono collocati ai lati della via i monumenti agli antichi mestieri, statue di bronzo che raccontano la storia del paese: l’artigiano delle scarpe, la ricamatrice, gli emigranti, i braccianti.
Presso l’alimentari R2 (che sta per Rosamaria e Rosario, i due simpatici proprietari) ci facciamo fare dei gustosi panini a base di prosciutto, provola e friarelli.
Oltrepassiamo piazza Roma con il Municipio, il monumento ai Caduti e la parrocchiale di S. Nicola Magno, all’estremità del paese ci soffermiamo di fronte all’ingresso della Scuola Apostolica Padri Oblati di Maria Immacolata e al complesso aragonese dell’Assunta con il cortile e le 14 stazioni della via Crucis sorrette da oblate stilizzate in corten.
Proseguiamo l’ungo la direttrice Appia, ora Via Caudio, fino a riguadagnare la SS7 Via Nazionale Appia. Superato l’incrocio con via Strettola, costeggiamo un vecchio edificio sul cui portale d’ingresso campeggia la scritta “S. Pio X Ass. ne Missionaria” e da qui in poi la strada inizia a salire. Proseguiamo per alcuni chilometri fino a Via Rella che imbocchiamo sulla destra per poi piegare sulla sinistra in Via Pestantina. Finalmente abbiamo lasciato la SS7 per delle strade più tranquille tra il verde e poche case.
In contrada Acquavitale ci colpisce un cartello appeso a un palo che recita “La terra è il nostro letto: se la sporchiamo dove dormiamo? Nell’immondizia”. Chissà che non si riferisca al “lago degli orrori” di San Felice a Cancello, da alcuni giorni alla ribalta per l’individuazione da parte delle autorità di un bacino d’acqua sotterraneo nei pressi di una cava, colmo di rifiuti di ogni genere più o meno inquinanti (su GoogleMaps ci da il sito a brevissima distanza da dove si troviamo).
Incrociamo Via Cagni, pieghiamo a destra e subito dopo a sinistra in Via Palata fino a che la strada non diventa sentiero.
Giunti in una radura a ulivi, sostiamo per un breve picnic, l’aria è frizzante, ma ci scaldiamo sotto al sole che filtra tra il fogliame.
Con l’aiuto del lettore GPS e delle nostre fedeli tracce, riusciamo a raggiungere la Strada provinciale 39 Arpaia Forchia. Siamo in piena Valle Caudina, quando giungiamo ad Arpaia in territorio sannita. Non lontano da qui i guerrieri sanniti costrinsero i legionari romani sconfitti a passare sotto il giogo delle loro lance incrociate. Ce lo ricorda una lapide all’ingresso del paese, fatta apporre dal Prefetto di Benevento Potito Chieffo nel 1947: “Qui presso nel fondo angusto della Valle Caudina l’anno 433 di Roma le legioni dei consoli Veturio e Postumio cedettero ai militi di Ponzio Sannita passando inermi e tristi a patto della richiesta pace sotto l’imposto giogo del vincitore attraverso quello stesso varco donde tante volte trionfanti avevano raggiunta l’urbe”. Nel suo linguaggio aulico, la lapide ci rassicura, siamo sull’Appia: “Via scolta immota della sannita gente del memorabile evento alimenta il ricordo ammaestrando il popolo che dove virtù sorregge ivi gloria non manca”.
Al civico 156 (SS7, qui Via Roma), si conservano due cippi miliari romani accanto al portone di un’abitazione lungo l’Appia.
Poco oltre, una strada laterale conduce all’abbazia di San Fortunato, alle falde dei monti del Partenio ricchi di castagni. La tappa è lunga e non ci possiamo fermare, ma il luogo meriterebbe di certo una visita più approfondita.
Lasciamo Arpaia dopo una sosta caffè nell’unico bar aperto del paese e continuiamo lungo il rettifilo della SS7, lasciandoci alle spalle gli abitati di Paolisi, Tavernola. Uno dei nostri compagni di viaggio deve rientrare a Roma anticipatamente e per fortuna da Arpaia è attiva l’efficiente linea di pulmann Sellitto. Giunti al km 240, decidiamo di abbandonare la SS7 all’incrocio con la Provinciale 83. Lì pieghiamo a sinistra per poi imboccare Via Campoluongo e con il supporto di GoogleMaps, individuiamo una variante tra i campi paesaggisticamente molto bella che ci conduce alle pendici di Montesarchio.
Il castello svetta dall’alto ma la salita per raggiungerlo è infinita e gli ultimi tornanti, di concerto con un vento sferzante, ci mettono a dura prova.
L’agognata meta è il Museo archeologico nazionale del Sannio Caudino con la prestigiosa collezione di vasi greci e italioti rinvenuti nelle tombe del circondario. Avvisata dall’impagabile Domenico Iadevaia di Maddaloni dell’arrivo di un nutrito gruppo di pellegrini, ci raggiunge Morena Cecere, assessore alla cultura del Comune di Montesarchio, che orgogliosamente ci mostra il Cratere di Assteas, considerato uno dei vasi più belli del mondo. Prodotto a Paestum nel IV secolo a.C. dal ceramografo e ceramista greco che lo firmò, il prezioso cratere a calice decorato a figure rosse, illustra il rapimento di Europa da parte di Zeus.
Secondo il mito, il dio greco si innamorò della bellissima fanciulla fenicia che con le ancelle si era recata a passeggiare sulle rive del mare, ma per non spaventarla prese le sembianze di un docile toro bianco. Attratta dalla mansuetudine del toro, Europa gli montò in groppa e questi, all’improvviso, iniziò a correre verso il mare attraversando il Mediterraneo sino all’isola di Creta, della quale Europa divenne regina. Dall’unione con Zeus, nacquero il mitico re Minosse e la civiltà minoica. Ma oltre all’aspetto narrativo, la storia del vaso di Europa, regina ingannata ma nonostante tutto innamorata del suo rapitore divino, è affascinante anche per le vicende che portarono al suo ritrovamento. Nel 1973 il cratere fu rinvenuto nel corso di scavo clandestino di una tomba nel territorio dell’antica Saticula (S. Agata dei Goti) da un contadino che si fece scattare una foto accanto al reperto, prima di venderlo a un antiquario. Il vaso fu quindi esportato illegalmente in Svizzera per poi giungere al Getty Museum di Malibu e tornare finalmente in Italia nel 2007 grazie alle complesse indagini delle forze dell’ordine preposte alla tutela del patrimonio. La foto scattata dal tombarolo fu una delle prove schiaccianti dell’originale provenienza del vaso.
Ringraziamo l’assessore per la calorosa accoglienza. Morena Cecere è consapevole dei tanti problemi del Mezzogiorno campano, ma ci dice anche il sud deve scommettere su ciò che lo contraddistingue dal resto d’Italia: il senso dell’accoglienza e dell’ospitalità. Tra i progetti che sta seguendo, molto interessante l’ideazione di pacchetti turistici ed enogastronomici assieme alle realtà locali. Ci lasciamo con la promessa di tornare presto a visitare il suo bellissimo borgo.
Ormai stanchissimi, scendiamo al buio e in un quarto d’ora raggiungiamo il Cristina Park Hotel, molto accogliente, con belle stanze e una meravigliosa doccia calda che ci rimette in forza.
Terminiamo la giornata con una cena al “Basilico” in piazza Vittorio Veneto, dove gustiamo una meravigliosa pizza beneventana, con con pomodorini rossi e gialli, mozzarella di bufala, origano e l’immancabile foglia di basilico.
[Maria Teresa Natale, Travel designer]
Per approfondire
Arienzo Cervino San Felice a Cancello Santa Maria a Vico: percorsi di storia e architettura, a cura di Jolanda Capriglione e Mariano Nuzzo, Caserta: Il menabò, 2013
Tappa Capua Maddaloni
Totale km percorsi a piedi: 36,8 (3-4-gennaio 2020)
Tappa Maddaloni Montesarchio
Totale km percorsi a piedi: 32,1 (5 gennaio 2020)
Tappa Montesarchio Benevento
Totale km percorsi a piedi: 20,1 (6 gennaio 2020)
Bella passeggiata. E bel racconto.