Mi sono sempre piaciuti i gabbiani. Osservare le loro impronte sulla sabbia, all’alba. Contemplarli, la sera, volare sopra di me, mentre leggeri accarezzano il cielo. Felice, quando, durante una gita in barca tra i fiordi, prendevano il cibo dalle mie mani, al volo. Prima timorosi, poi sempre più intraprendenti. La loro eleganza ha qualcosa di magico.
Chissà, forse la lettura de Il gabbiano Jonathan Livingston ha contribuito ad amplificare questo interesse. L’intraprendenza e il coraggio del protagonista mi ha affascinata, facendomi leggere il racconto più volte a distanza di anni, facendomi scoprire sempre qualcosa di nuovo, emozioni diverse.
Molti anni fa, durante una vacanza alle Cinque Terre in Liguria, precisamente a Vernazza, in una piccola bottega affacciata sul porticciolo, tra i vari souvenir, vidi la riproduzione di un piccolo gabbiano che, appeso ad un filo, oscillava, cullato dalla brezza marina. Mi colpì la semplicità della forma e fu subito mio. Da allora mi accompagna in cucina appeso sopra il lavello ed, ogni volta che mi avvicino, con un piccolo colpo gli dono la vita. Mi incanto ad osservarlo per un solo istante, e per un solo istante la mia mente vaga leggera…..
Un giorno di qualche anno fa, incollata al televisore per seguire con apprensione le immagini che mostravano le Cinque Terre flagellate da un’alluvione senza scampo, riconobbi senza dubbio quei portici di un colore rosso, che accoglievano quella bottega che tanti anni prima mi aveva dato allegria. Devastata dal fango. E fu una tristezza infinita. E non solo per quella bottega…..
Ancora oggi nel passare accanto al “mio” gabbiano un piccolo colpo lo fa oscillare… ma lo sguardo si sofferma un istante di più…
[Testo e immagine inviati da Angela La Mattina il 30 luglio 2020, CC BY NC SA]