Sono una bambolina snodabile in avorio, una barbie di epoca romana, e sono esposta in una teca nella Sala del Lusso presso il Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo a Roma. Fui ritrovata nel 1964, all’interno di un sarcofago rinvenuto in occasione degli sterri per i lavori di costruzione di una edificio in via di Grottarossa, località Giustiniana, a pochi passi dalla Via Cassia.
Appartenevo a una bimba di otto anni, magrolina e malaticcia, che morì prematuramente per problemi polmonari. La storia incredibile che vi voglio raccontare è che, dopo la morte, il corpo della bimba, certamente di famiglia agiata, venne imbalsamato con procedimenti in uso nell’Egitto romano che prevedevano, contrariamente a quelli adottati nell’Egitto antico, che il cervello e i visceri non venissero asportati. Il corpicino, avvolto in bende di lino, divenne noto come la “Mummia di Grottarossa”. Il ritrovamento fu talmente eccezionale che la notizia si sparse velocemente assurgendo agli onori della cronaca nazionale e internazionale.
Esposta in un primo momento al Museo delle Terme a Piazza dei Cinquecento, la gente faceva la fila per andare a vedere la “bambina di Grottarossa”, fu addirittura necessario mettere delle transenne per incolonnare il numeroso pubblico. Poi per molti anni non fu più visibile e divenne oggetto prima di analisi e studio da parte di anatomopatologi dell’Università La Sapienza di Roma, poi di un importante intervento di conservazione da parte dei restauratori dell’Istituto Centrale del Restauro.
Dagli anni Ottanta finalmente riposa in una teca dotata di sensori per il monitoraggio della temperatura e dell’umidità, all’interno di una sala in cui l’illuminazione filtra le radiazioni dannose.
A farle compagnia, nello stesso ambiente, vicino al sarcofago con scene di caccia al cervo nel quale è stata rinvenuta, ci sono io ed alcuni oggetti del corredo funebre che l’hanno accompagnata nell’aldilà: un anello con castone, una collana in oro e zaffiri, due orecchini di filo d’oro e dei vasetti miniaturistici in ambra rossa.
In base alla mia acconciatura e alle caratteristiche del sarcofago in cui la bambina e io siamo state trovate, gli studiosi ritengono di poterci datare alla seconda metà del II secolo d.C. Va detto, comunque, che seppur non frequente, l’usanza di imbalsamare i corpi è attestata a Roma sin dal I secolo d.C. Tacito negli Annali (XVI, 6,1) racconta che la salma di Poppea Sabina, la moglie di Nerone da lui assassinata nel 65 d.C., “non venne consumata sul fuoco, secondo l’uso romano, ma fu imbalsamata, come era consuetudine per i sovrani stranieri e deposta nel mausoleo di casa giulia” [n.d.r Mausoleo di Augusto].
[Maria Teresa Natale, travel designer]