Seconda tappa del nostro viaggio in Myanmar: destinazione Bago, venendo da Yangon, breve resoconto di quanto si può vedere in una giornata.
Per il nostro viaggio, abbiamo deciso di non prendere voli interni, ma di attraversare il territorio con mezzi più lenti per godere maggiormente dei mutevoli paesaggi birmani. Per le grandi distanze, abbiamo preso un pulmino con conducente e guida. Il nostro cicerone è stato Zayar Latt, di Yangon (zayar.latt@gmail.com, www.myanmardriver-guide.com), che già avevamo conosciuto in un precedente viaggio in Myanmar. Molto professionale, ci ha accompagnato fino a Mandalay, rispondendo a ogni nostra curiosità e premurandosi di rendere quanto più piacevole possibile il nostro itinerario.
Partiamo dunque verso le nove da Yangon in direzione nord e dopo qualche chilometro facciamo una prima sosta al cimitero di guerra di Taukkian. Assomiglia a uno dei tanti cimiteri storici presenti anche in Europa, erba verde perfettamente tagliata, file di tombe allineate, targhe con i nomi dei soldati deceduti, il loro ruolo, una frase di cordoglio e lo stemma del reggimento; sulla sinistra una croce, oppure la stella di David. Un’intero settore del cimitero è riservato ai caduti musulmani. Venne costruito nel 1951, riunendo in un unico luogo le tombe di tanti cimiteri diversi difficilmente accessibili, per commemorare le migliaia di soldati che caddero nella seconda guerra mondiale: 6374 sono qui sepolti, mentre altri 27.000, i cui corpi non vennero mai ritrovati, sono ricordati su un grande monumento commemorativo. Rimaniamo colpiti dal fatto che il cimitero sia vissuto quasi come un parco con famiglie e giovani coppie che passeggiano in allegria. Il luogo è però soprattutto un luogo di memoria che rimanda ai terribili anni al 1941 al 1945 quando il sud-est asiatico fu teatro di un devastante conflitto che contrappose i nipponici agli Alleati.
Proseguiamo in direzione di Bago. La prima sosta è a Kyaik Pun per visitare i quattro giganteschi Buddha alti 30 metri raffiguranti Siddharta Gautama e i suoi tre predecessori in posizione di mudra bhumisparsha, con le dita della mano destra che toccano terra, ovvero “chiamano la terra a testimone”. Durante l’illuminazione, la concentrazione del Buddha venne interrotta dal demone Mara che fece tremare la terra, ma Buddha toccandola la fermò. E’ questo l’episodio che l’impressionante monumento vuole ricordare.
Prima i risalire in pulmino, ci attardiamo presso alcune bancarelle a osservare alcuni cuscini realizzati in vimini e altri oggetti di artigianato locale.
Eccoci finalmente a Bago, una cittadina di provincia che ben poco conserva dell’antico passato di gloria quando, tra XV e XVI secolo, fu capitale della bassa Birmania durante il regno del Hanthawaddy . Zayar ci tiene a farci visitare i resti del cinquecentesco Palazzo Kanbawzathadi, che però risulta per gran parte rifatto e depredato degli originari arredi.
E’ ancora presto e chiediamo a Zayar di accompagnarci a visitare Mwei Paya. Ci inoltriamo per un tratto non breve lungo uno sterrato acquitrinoso fiancheggiato da misere palafitte in bambu accanto alle quali bambini sguazzano a pochi metri da floridi maiali e finalmente arriviamo al monastero del serpente. Rigorosamente ci togliamo le scarpe e in breve raggiungiamo un ambiente non molto grande nel quale viene venerato un grosso pitone. Mentre un vecchio intona delle nenie, il grosso rettile sonnacchioso viene omaggiato dai fedeli con decine di banconote stropicciate che quasi gli sommergono il muso.
Siamo gli unici turisti in mezzo a frotte di birmani e birmane elegantissimi nei loro sgargianti abiti da passeggio che vanno a omaggiare questa grossa serpentessa che si dice abbia 120 anni e che reincarni un abate dell’adiacente monastero.
Nel tornare verso Bago ci fermiamo a visitare il Buddha sdraiato di Schwethalyaung, risalente al X secolo. Siamo più fortunati e stavolta non vi sono impalcature che impediscono la vista della statua lunga 55 metri. Il Buddha, alla vigilia della sua illuminazione, poggia la testa sul cuscino. Sembra incredibile, ma questa meraviglia rimase dimenticata tra la vegetazione per secoli e fu solo grazie ai costruttori delle ferrovie birmane che il colosso tornò alla luce intorno al 1880.
Ormai è il tardo pomeriggio e si è fatto buio. La giornata però non è ancora finita. Ci facciamo portare alla bellissima pagoda Schwemawdaw, dalla grande cupola dorata che brilla sotto la luna piena. Lentamente facciamo il giro della grande terrazza che circonda lo stupa e ci soffermiamo ad ascoltare le litanie intonate da cori di decine di fedeli per celebrare la festa delle luci (Thadingyut).
Siamo alla fine della quaresima buddhista (Wa-dwin), che corrisponde ai tre mesi monsonici che vanno da metà luglio a metà ottobre, durante i quali i contadini sono impegnati nel lavoro dei campi e nella semina nelle risaie, mentre i monaci rimangono nei monasteri per il Wa-kup, il “ritiro delle piogge”. Per il Thadingyut, case e strade vengono illuminate e la pagoda di Bago, come tutte le pagode birmane, rifulge della luce dei mille e mille lumini accesi.
[Maria Teresa Natale, travel designer] [23 ottobre 2018]
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