New York, a passeggio nella città  verticale. Le Jane Jacob walks

Volentieri pubblichiamo questo contributo di Irene Ranaldi, dottore in Teoria e Analisi Qualitativa alla Facoltà  di Sociologia, Sapienza Università  di Roma, che si occupa attivamente di identità  urbane in movimento e gentrification.

Jane Jacob Walk 2013, New York (foto: Irene Ranaldi)
Jane Jacob Walk 2013, New York (foto: Irene Ranaldi)

Passeggiando per New York ci si rende conto di come la città  sia stratificata, tra continue demolizioni e rinnovamenti e al tempo stesso appaia vecchia e retrò, come le guglie in stile art decò di alcuni suoi grattacieli e le insegne di barberie e gastronomie che sembrano ferme alla prima metà  del Novecento.

Gli strati culturali, etnici, urbanistici di New York si percepiscono ancora di più visitando gli altri distretti di cui la città è composta, uscendo fuori da una logica turistica che solitamente è Manhattan-centrica e, soprattutto, è shopping-centrica.

Uno degli altri stereotipi di cui soffre New York è che essa sia una “città  verticale” perché l’immagine dei suoi imponenti skyscrapers rimandata dal cinema, ha contribuito al formarsi, nella mente di molti, l’idea di una città  come un continuum di grattacieli.

Tuttavia, ad una visita più approfondita e fuori dalla passeggiata tra le ordalie turistiche mescolate a finanzieri di Wall Street, donne delle pulizie messicane, coppie di amanti black e asiatiche come solo qui, incontrate tra Times Square e Lower Manhattan, la città  offre passeggiate orizzontali uniche come unica può essere l’esperienza di camminare su una vecchia linea ferroviaria sopraelevata trasformata in giardino e orto urbano (visitare http://www.thehighline.org/)  oppure salire sulla mitica linea 7 della metropolitana che collega il variegato mondo del Queens con Manhattan: come fare un viaggio direttamente nell’arcobaleno dei mille popoli che abitano il nostro pianeta.

Jane Jacob Walk 2013, New York (foto: Irene Ranaldi)
Jane Jacob Walk 2013, New York (foto: Irene Ranaldi)

Attraversando queste due linee orizzontali immaginarie, la 7th line della metropolitana e l’high line, possiamo compiere un viaggio nella città  completamente diverso dal solito ed imbatterci nei moltissimi “community garden” esistenti.

La prassi del “community gardenâ”: è nata come una azione collettiva di appropriazione dello spazio pubblico urbano. Un giardino condiviso può essere lo spunto per fare altro: un luogo di incontro, far giocare i bimbi, avere un po’ di relax, praticare uno sport all’aperto, fare attività  culturali, imparare una lingua, fare giardinaggio, coltivare un orto per l’autoconsumo, fare volontariato sociale o educazione ambientale. Il giardino condiviso può essere il fulcro di una comunità  delineando nuovi modi di vivere la città .

Gli orti e i giardini condivisi possono contribuire alla conservazione del paesaggio attraverso il presidio del territorio che genera quindi sicurezza, allo sviluppo sostenibile attraverso la diffusione di pratiche quali le coltivazioni biologiche, l’educazione ambientale degli adulti e dei più piccoli, la diffusione di buone pratiche come il compostaggio e il riciclo dei materiali ecc.

Possono inoltre rappresentare delle efficaci armi contro lo scadimento della città  a uno suo uso puramente consumistico. Su questi temi ha scritto molto, tra gli altri, la sociologa Sharon Zukin, docente di sociologia al Brooklyn College e al CUNY (City University of New York). E’ autrice di diversi libri e osservatrice delle culture e dei consumi culturali urbani connessi ai cambiamenti economici e sociali nella città.

L’ultimo libro della Zukin, Naked City. The death and life of authentic urban places, New York: Oxford University Press,

Jane Jacob Walk 2013, New York (foto: Irene Ranaldi)
Jane Jacob Walk 2013, New York (foto: Irene Ranaldi)

2010, appena tradotto in Italia, arriva poco dopo il 50° anniversario della pubblicazione dell’antropologa americana Jane Jacobs, The death and life of Great American Cities, New York: Random House, 1961, tradotto in Italia: vita e morte delle grandi città . Saggio sulle metropoli americane, Torino: Einaudi, 2009, uno degli studi più influenti del fenomeno urbano – non solo statunitense – negli ultimi anni.

Jane Jacobs (1916 – 2006) è stata un’antropologa e attivista statunitense naturalizzata canadese. Si trasferì infatti in Canada nel 1969 per la sua opposizione alla guerra del Vietnam. Le sue teorie hanno influito profondamente sui modelli di sviluppo urbano delle città  nordamericane. La Jacobs criticò fermamente il modello di sviluppo delle città  moderne e fu una sostenitrice del recupero a misura d’uomo dei nuclei urbani, enfatizzando il ruolo della strada, del distretto, dell’isolato, delle relazioni di vicinato e della densità , della eterogeneità  dello stile degli edifici. Criticò la concezione della città  come spazio costruito per essere attraversato dalle automobili e fu una tenace oppositrice di Robert Moses, denominato “the master builder” e paragonato al barone parigino Hausmmann per aver dotato di New York di grandi arterie stradali urbane e di ponti come il Trisborough Bridge (semplificato in “Triboro” secondo l’uso statunitense di abbreviare molte parole) che nel 1936 collegò Manhattan con il Bronx e il Queens. Una enorme mole di ristrutturazioni urbane che, inevitabilmente, cambiarono per sempre il volto di interi quartieri.

New York, the High Line, 2013 (foto: Irene Ranaldi)
New York, the High Line, 2013 (foto: Irene Ranaldi)

La Jacobs riuscì ad aggregare attorno a sé molti abitanti di vari quartieri, sia a Greenwich Village dove abitava sia nel bellissimo Lower East Side, il primo borough dove arrivavano gli immigrati dopo aver passato visita ad Ellis Island per andare a risiedere in condizioni malsane e in un inumano sovrappopolamento, nei tenements, grandi condomini-alveari.

La rivalità  tra Jane Jacobs e Robert Moses è stata una vera e propria lotta per preservare l’anima della città , condotta attraverso l’arma delle passeggiate” o quelli che oggi si chiamano flash mob se condotti a piedi o critical mass se in bicicletta oppure attraverso green guerrillas, una forma di lotta che negli USA ha ormai più di quaranta anni e che consiste nell’occupazione e coltivazione a orto urbano o giardino di intere aree verdi abbandonate nei quartieri cittadini.

La Jacobs, forte del sostegno popolare, riuscì a bloccare il traffico che avrebbe attraversato il suo amato Washington Square Park nel Village e la costruzione della Lower Manhattan Expressway, una superstrada sopraelevata che avrebbe distrutto paesaggi urbani ormai entrati nel quotidiano dei newyorkesi e costretto allo sfollamento selvaggio migliaia di famiglie sfollate. Gentrification pura. Ha cambiato per sempre il modo in cui gli americani hanno capito la città. La sua storia ci ricorda il potere che abbiamo come individui di confrontarsi e di sfidare l’autorità  precostituita, con le semplici armi dell’intelligenza e della protesta pacifica della camminata.

E’ per ricordarla che ogni anno una organizzazione non profit fondata nel 1893 – la Municipality Art Society www.mas.org – per promuovere, preservare e diffondere la sostenibilità  ambientale e la diversità  culturale e sociale dei quartieri newyorkesi, organizza una passeggiata nei luoghi in cui la Jacobs ha condotto, insieme a molti altri cittadini, le sue battaglie contro la speculazione edilizia.

Qui http://www.janejacobswalk.org/events/2013-events/ è possibile vedere la proposta dei molti itinerari che  sono stati percorsi quest’anno e a due dei quali, uno nel Lower East Side e uno a Brooklyn, ho partecipato. Una passeggiata critica e di testimonianza e un omaggio ad una donna che ha dimostrato quanto l’azione  individuale che si fa collettiva, possa davvero incidere sul cambiamento delle nostre città .

http://www.janejacobswalk.org/

 

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