Lo scorso 27 settembre, ho avuto l’occasione di assistere, presso la Biblioteca Villino Corsini nella bella cornice romana di Villa Pamphili, a una presentazione del volume Giorgio Caproni: registri di classe 1935-1973, curato dall’amica Nina Quarenghi (Milano: Garzanti, 2023), che ha visto, di fronte a una folta platea, la partecipazione dell’autrice, della docente ed esperta di pedagogia dell’infanzia Irma Staderini, dei figli di Caproni, Mauro e Silvana, e di numerosi alunni dell’amato e stimato maestro.
Nina Quarenghi, docente scolastica e già autrice di fortunate pubblicazioni (Un salotto popolare a Roma: Monteverde 1909-1945 (Franco Angeli, 2014) e Cuore Agro (Arkadia, 2018), ha raccontato di aver già preso spunto da uno dei registri di classe caproniani per uno dei racconti di Capita a Monteverde (Arkadia, 2019). Da lì il desiderio di trascrivere la raccolta di registri di classe del maestro da lei recuperata, da intendersi – si legge nell’introduzione – come “un atto di amore di Giorgio Caproni per la scuola, per le ondate di bambini che prese per mano e guidò dalla terza alla quinta elementare, quella in cui maturò la carriera letteraria che lo rese uno dei più grandi intellettuali del Novecento”.
Per Caproni, la professione scolastica non fu mai un lavoro di ripiego, per lui il “maestrino di scuola” non fu mai un “mestieruccio”, ma un’attività da svolgere con serietà tanto quanto il mestiere di poeta. E nel corso di tutti gli anni di insegnamento, Caproni, come tutti i docenti, dovette compilare i registri di classe, inserendo i dati degli alunni e le relazioni del suo lavoro, soggette al controllo dei superiori e successivamente conservati negli archivi scolastici: documenti burocratici quindi, che secondo Nina, rappresentano però “oro grezzo, certo non forgiato in gioielli e monete, ma pur sempre oro, perché sono le parole che escono dalla bocca di un poeta, anche quando compone una relazione di lavoro”.
Irma Staderini, moderatrice dell’evento, ha sintetizzato con intelligenza e sapienza i punti salienti del libro, intervallando il commento con domande rivolte alla scrittrice e pause di lettura con brani da lei scelti e magnificamente letti da Giorgio Russomanno. Esperta di pedagogia, Irma ha lodato la scrittrice per la pazienza e l’accuratezza con le quali ha tolto dalla polvere e dall’oblio questi registri scritti con il cuore e l’intelligenza di un maestro che, mese dopo mese, scriveva giudizi molto puntuali sugli alunni, annotava commenti sui libri di testo, raccontava i suoi personali metodi d’insegnamento, “anticipando molti aspetti che oggi fanno parte del comune sapere pedagogico-didattico”, sempre attento a osservare la società nei suoi molteplici aspetti.
Nina ha evidenziato come già dai registri si riconosca lo stile del poeta e dello scrittore, che rappresenta con le parole ciò che succede. Al loro interno si possono individuare delle vere e proprie linee guida, veramente innovative per l’epoca: l’insegnante deve zittirsi, sono gli alunni a dover parlare, a intraprendere una conversazione che è poi l’espressione del pensiero, i ragazzi non devono essere solo spettatori, devono essere coinvolti in prima persona, tutti, nessuno escluso. Schivo, riservato, timido, ironico, puntiglioso, Caproni sapeva ascoltare (l’ascolto è essenziale per chi insegna) ed era come se intraprendesse insieme ai suoi bambini un viaggio nel tempo, dove non crescono solo gli alunni ma anche il maestro, che evolve negli anni e diventa più padrone del suo mestiere, diventando un direttore d’orchestra, con la capacità di concertare le varie voci, dare un senso e creare un’armonia tra gli alunni e nella classe.
La Staderini si è poi focalizzata proprio sulla capacità di Caproni di mettere in pratica un insegnamento centrato sull’alunno, alunno che per secoli era stato visto come un recipiente nel quale il docente doveva trasferire le sue conoscenze con un passaggio univoco. E l’insegnamento diventa per Caproni un gioco, come quando il maestro si finge un alieno e si fa spiegare dagli alunni a cosa serve una sedia, e loro ridendo ne spiegano la funzione, e lo rimbrottano quando lui vi si siede a cavalcioni, e intanto migliorano le proprietà di linguaggio. O ancora quando il maestro confessa agli scolari di non sapere nulla di Napoleone e di non sapere come fare l’indomani quando verrà il direttore per assistere alla spiegazione: gli alunni saranno felici di aiutarlo facendo delle ricerche a casa per non fargli fare brutta figura (se vogliamo, un’anticipazione della moderna classe capovolta).
Si è poi affrontato il tema dell’inclusione scolastica. A differenza di oggi, la scuola fascista e del dopoguerra tendeva a eliminare, escludere dalle classi chi aveva problemi, chi aveva situazioni familiari difficili, i bambini erano visti come degli impicci, la bocciatura non era infrequente e spesso i maestri avevano a che fare con “ripetenti incalliti”. Caproni non era contrario alle bocciatura, ma affermava che quando si boccia un alunno, l’insegnante in realtà boccia sé stesso perché non ha fatto abbastanza, non ha trovato la chiave per entrare nell’universo di quel particolare bambino. E Nina è intervenuta facendo rilevare che, al di là delle parole, Caproni l’inclusione l’ha applicata veramente, come quando nei primissimi anni Cinquanta chiese al direttore di accogliere nella sua classe anche i bambini orfani o figli di ragazze madri. Non si dimentichi che all’epoca c’era una vera e propria discriminazione, questi figli di nessuno venivano umiliati, dovevano indossare grembiulini neri senza fiocco, alla mensa non avevano diritto alle stesse razioni dei compagni più fortunati. Eppure Caproni, in una classe di 38 alunni, portò tutti alla pari, anzi affermava che i ragazzi di strada erano più maturi di quelli più agiati, potevano insegnare agli altri, e tutti trovavano un ruolo in questa grande officina di inclusione sociale.
Mauro racconta di aver insegnato per quarantaquattro anni all’università una materia tecnica, la bibliografia, che nelle sue parole è “il ragionamento della conoscenza libraria”. Racconta che ogni volta che entrava in aula il primo giorno aveva un senso di soggezione nei confronti degli studenti che aveva di fronte perché avvertiva la responsabilità che aveva nel trasmettergli qualcosa. Si ritrovava quindi nel padre per il quale il ragionamento era l’intento principale, affinché “ciascuno degli alunni fosse pronto di fronte alle opportunità che la vita ci propone di saper scegliere autonomamente”.
Grazie Nina, per questo grande risultato frutto della tua curiosità, abnegazione e passione!
[Maria Teresa Natale]
Bellissimo report dell’incontro. Conosco molto bene Nina (siamo nate nello stesso paese Castiglione delle Stiviere – prov Mantova- ) e ho letto già questo bellissimo libro.
Grazie grazie grazie