In un diario di un viaggio itinerante in automobile, come quello che ho recentemente pianificato e percorso con la mia famiglia fra Spagna e Francia, ho preso appunti fotografici di una dogana dismessa che abbiamo incrociato varcando i Pirenei spagnoli dirigendoci verso Lourdes.
Abbiamo percorso centinaia di chilometri armati di mappa e di navigatore satellitare allo stesso tempo, orientandoci dunque con l’aiuto di strumenti sia “antichi” che più moderni, sia “analogici” che digitali. Nel breve spazio di quella rapida sosta, un altro incontro fra passato e presente avrei vissuto di lì a poco, in un luogo (quasi) fuori dal tempo, sospeso fra ieri e oggi.
Strada facendo, infatti, ad un tratto accostiamo e ci fermiamo, per dare un’occhiata con calma alle nostre “bussole”, in quella che ad un primo sguardo ci appare come una piccola zona di sosta. Ma quando solleviamo lo sguardo dalla nostra strumentazione di bordo e ci guardiamo intorno, ci rendiamo conto di trovarci non in una semplice area di sosta, ma letteralmente in mezzo a una linea di confine, a cavallo di un passaggio, di una barriera oggi sfuggente, ma ieri ben evidente: siamo alla frontiera, fra le pensiline, i gabbiotti e l’ufficio della vecchia dogana, appunto, fra Spagna e Francia. Non possiamo fare a meno di scendere dall’auto, quindi, e di scattare qualche foto a questi evocativi, piccoli, affascinanti edifici in rovina…
Le dogane dismesse hanno il malinconico fascino del mondo che fu e che non è più. Sono l’involontario e inconsapevole monumento silenzioso al passato, al mondo che è inesorabilmente cambiato, allo svanire dei confini economici, politici, culturali, epocali. Tracce di epoche evidentemente superate, ma forse non ancora del tutto seppellite e dimenticate, perché nonostante il trascorrere del tempo e della Storia le vecchie dogane stanno ancora lì, in piedi.
Avvicino il mio volto e lo sguardo al vetro di un gabbiotto, metto le mani a cucchiaio per farmi ombra e sbircio dentro, tanto nessuno mi vede, perché davvero sembra che non ci sia anima viva lì intorno: una sedia girevole vuota, lasciata scostata da un tavolino che sembra in formica, o materiale simile, e poi qualche foglio di carta lasciato a impolverarsi. Niente più. Mi guardo di nuovo intorno, davvero il deserto, le erbacce crescono e seccano al sole ai piedi di ognuno dei piccoli edifici che compongono questo microcosmo… Una finestra di uno dei pochi edifici doganali è aperta. Allora forse qualcuno c’è, mi dico, o c’è stato da poco, forse una traccia di vita recente… ma davvero all’orizzonte non si vede nessuno… Poco più in là, solitarie si ergono le aste con le bandiere francese e spagnola, ma penzolanti lacere e sbiadite, lasciate a scolorire sotto al sole e sotto la pioggia… È questo, a mio parere, il dettaglio più malinconico, più triste, perché sa di abbandono quasi frettoloso, di oblio.
Penso allora che davvero interessante, e perché no anche commovente, sarebbe intraprendere un viaggio alla ricerca delle dogane dismesse: scegliere un confine, studiarne la storia, e poi di quella storia cercare le tracce attraverso le vecchie dogane.
E insieme all’aspetto storico, e insieme a quello sentimentale, anche la componente architettonica di questi edifici riveste un certo interesse: collocazione geografica, funzione degli spazi, il messaggio “politico” (se c’è) trasmesso più o meno intenzionalmente da questi edifici dalle forme rigorose ed essenziali, così come rigorosi e asciutti saranno stati i controlli e i modi dei doganieri durante il passaggio del confine…
Le dogane potrebbero forse costituire una categoria architettonica a sé stante, così come “monografiche” sono le architetture dei luoghi di passaggio e di sosta lungo i percorsi di viaggio, dagli autogrill ai benzinai, per non parlare dei motel e degli aeroporti (tutti già da tempo oggetti di studi specialistici).
Ma certo io non sono né l’unica né la prima che si lascia suggestionare dalle dogane dismesse: tornata a Roma, mi metto a indagare sul tema, e trovo diversi (sebbene non numerosi) articoli al riguardo, e una o due (queste sì davvero poche) pubblicazioni. Inserendo un paio di parole chiave sul motore di ricerca non si faticherà a trovare riferimenti bibliografici e immagini.
Chissà per quanto tempo ancora sopravvivranno questi che ormai sono “templi fantasmi della Storia”, come qualcuno li ha giustamente definiti. Forse resisteranno fino a quando il cambiamento storico sarà davvero definitivo e quando allora qualcuno si ricorderà di loro e li smantellerà e demolirà, allora chissà se e quale altro ufficio, con chissà quale funzione, prenderà definitivamente il loro posto.
Noi intanto adesso scattiamo qualche fotografia, per conservare l’immagine di quel che resta di quei giorni lontani.
Catturate le ultime fotografie risaliamo in macchina, ci concentriamo sul nostro percorso, troviamo la strada, e ripartiamo.
Ho cercato in tutti i modi di ricordare dove fosse quel valico di frontiera, non ebbi a suo tempo l’accortezza di appuntarlo su carta, poi ci si è messa pure la sfortuna perché il mio cellulare di allora è andato perduto, e con esso quindi alcuni dati e alcune foto di quel viaggio. E così la collocazione di quella dogana mi sfugge, così come ormai sfumato nel tempo è il passaggio segnato da quella dogana e sfuggente, anzi inafferrabile, è il passato che non torna più.
Mi accontento di ricordare che siamo il confine fra Francia e Spagna. La prossima volta prenderò indelebili appunti su qualche block notes.
[Chiara Morabito]