Il mondo in cinque centimetri: il Museo della Tabaccheria in Trastevere e la sua collezione di scatoline di fiammiferi

In via degli Orti di Trastevere 72 (ci troviamo nel versante trasteverino moderno, qui i palazzi risalgono agli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento), si aprono le porte del Museo della Tabaccheria, istituzione giovanissima (ha aperto nel 2021) ma risultato di ricerche storico-archivistiche durate circa un quindicennio. Il Museo è di proprietà della FIT-Federazione Italiana Tabaccai, ed è curato e gestito in loco dal personale del museo.

Roma, Museo della Tabaccheria [Foto: Marina Verginelli, CC BY NC SA]
Roma, Museo della Tabaccheria [Foto: Marina Verginelli, CC BY NC SA]
Il percorso nel Museo della Tabaccheria, situato con apertura su strada al pianterreno di un edificio moderno, è sostanzialmente cronologico, appositamente concepito per accompagnare il visitatore attraverso lo sviluppo della moderna storia del tabacco e delle tabaccherie. Il sito web del Museo offre utili ed interessanti risorse, iconografiche e video.

Appena varcata la soglia si entra subito in medias res: una prima saletta, collocata proprio alla sinistra dell’ingresso, propone un’efficace ricostruzione, con tanto di bancone, strumentazioni e prodotti originali, di una tabaccheria di fine Ottocento-prima metà del Novecento, una delle tante diffuse su tutto il territorio nazionale.

Si prosegue attraverso un ampio e luminoso corridoio di ingresso, concepito per essere già esso stesso uno spazio espositivo introduttivo poiché alle pareti sono appese le insegne, antiche e moderne, delle rivendite dei tabaccai. A partire dal 1901, infatti, tutti i locali italiani destinati alla vendita di “Sali e tabacchi” erano tenuti a esporre un’insegna che riportasse (di volta in volta, a seconda del periodo storico) poche ma essenziali informazioni e simbologie: gli stemmi nazionali (fossero essi monarchici o repubblicani), il numero della rivendita, la famosa “T” bianca, la dicitura “Sali e tabacchi”.

Roma, Museo della Tabaccheria [Foto: Chiara Morabito, CC BY NC SA]
Roma, Museo della Tabaccheria [Foto: Chiara Morabito, CC BY NC SA]
Si giunge dunque nella prima delle quattro sale in cui si articola il Museo: qui si apre davanti agli occhi una ricca (quantitativamente) e, soprattutto, preziosissima (qualitativamente) collezione di  documenti, macchinari e oggetti inerenti la tabaccheria: dalla ruota per le estrazioni del gioco del Lotto, al materiale cartaceo fino agli oggetti più disparati: cartoline, strumenti per la scrittura,  riviste di settore, fotografie, macchinari, bilance, confezioni per la vendita del sale, pacchetti di sigarette…

Un vero e proprio patrimonio di reperti storici, classificati ed esposti ordinatamente gli uni accanto agli altri, poiché è proprio la compresenza di tutti i prodotti e di tutte le categorie merceologiche ciò che permette di cogliere a fondo il ruolo economico e culturale che il tabacco, le tabaccherie e i tabaccai hanno avuto nella storia d’Italia, almeno dagli anni della formazione del Regno d’Italia fino ai giorni nostri.

Roma, Museo della Tabaccheria [Foto: Maria Verginelli, CC BY NC SA]
Roma, Museo della Tabaccheria [Foto: Maria Verginelli, CC BY NC SA]
Tuttavia la storia dell’arrivo e del consumo in Italia della pianta del tabacco risale al 1561, quando per la prima volta i semi della pianta giungono a Roma, dal Portogallo, attraverso le mani del cardinale Prospero Santacroce. L’uso del tabacco si diffonde nello Stato pontificio e negli altri Stati preunitari: a Roma nascono nuovi spazi (o se ne riadattano di già esistenti) adibiti alla coltivazione della pianta, si costruiscono nuovi edifici per la lavorazione della pianta di Nicotiana tabacum, aprono gli spacci per la commercializzazione.

E proprio in un’ampia vetrina della prima sala sono esposte, accuratamente allineate, diverse scatole e scatoline. Pacchetti di sigari e sigarette, filtri e bocchini, scatoline di tabacco da fiuto, confezioni di carte da gioco, scatolette di fiammiferi, pennini da scrittura, saponi… Tutte colorate, interessantissime e persino affascinanti. Ma può una scatola di fiammiferi, ad esempio, essere interessante e financo affascinante?! Ebbene sì, quando, per piccola che sia, essa ci rivela la storia di un’epoca, lo spirito di un preciso momento storico, e del popolo che quel momento ha vissuto e costruito.

Roma, Museo della Tabaccheria [Foto: Chiara Morabito, CC BY NC SA]
Roma, Museo della Tabaccheria [Foto: Chiara Morabito, CC BY NC SA]
Come già detto, il contenuto delle scatoline è vario: ad esempio pennini per scrivere, perché i tabaccai vendono anche gli strumenti da scrittura, perché la lotta all’analfabetismo passa anche attraverso le rivendite delle tabaccherie… Ecco poi scatole con saponi e prodotti per la cura personale, perché l’igiene e la cura di sé siano a disposizione di tutti, e dunque facilmente reperibili anche dal tabaccaio… Ed ecco anche bustine e piccoli contenitori (blister) per il chinino, perché i tabaccai vendono anche il “chinino di Stato”, in un momento storico in cui fu proprio la capillare distribuzione delle tabaccherie sul territorio nazionale a consentire di raggiungere anche i più remoti angoli d’Italia, per garantire la distribuzione a tutti del chinino, il medicinale fondamentale per debellare la malaria che a fine XIX secolo e inizio XX affliggeva il paese, e venduto in tabaccheria a prezzo calmierato.

Roma, Museo della Tabaccheria [Foto: Marina Verginelli, CC BY NC SA]
Roma, Museo della Tabaccheria [Foto: Marina Verginelli, CC BY NC SA]
Scatoline che sono dunque davvero una miniera di informazioni e di stimoli!

Prima di cominciare, solo un’ulteriore parentesi storica: il tabacco, a differenza di altri beni di consumo voluttuari (cacao, spezie, profumi) importati e venduti in Europa a partire dal XVI secolo, non restò privilegio di una benestante, raffinata élite, ma raggiunse anche gli strati più bassi della popolazione, i ceti popolari che si accontentarono di consumare la qualità più dozzinale di tabacco mentre alle élite restavano le foglie migliori. Tutti potevano procurarsi il tabacco, persino coloro che pativano la fame, anzi: alcuni studiosi ritengono che sia stata proprio la sensazione di pseudo-sazietà indotta dal tabacco, insieme al prezzo molto basso, a favorirne il consumo fra i più poveri.

Torniamo alla collezione di scatoline di fiammiferi: quelle “garibaldine”, conservate presso questo museo, sono davvero notevoli. Ogni scatoletta, infatti, è decorata da piccoli (giustamente, secondo le dimensioni del contenitore stesso) ma vivaci disegni colorati che ripropongono episodi salienti della epopea garibaldina.

Roma, Museo della Tabaccheria [Foto: Chiara Morabito, CC BY NC SA]
Roma, Museo della Tabaccheria [Foto: Chiara Morabito, CC BY NC SA]
E dunque sì, questi “scrigni della memoria storica” sono a loro modo affascinanti: proviamo a immaginarli fra le mani di un semplice cittadino italiano di uno o due secoli fa, magari proprio un reduce del Risorgimento che, aspirando il fumo di un sigaro o di una spagnoletta (così sono chiamate all’inizio le sigarette, poiché questa nuova modalità di pressare e comporre il tabacco viene dalla Spagna), immaginava o riviveva le gloriose battaglie che hanno fatto l’Italia unita…

Quale fra queste scatoline avrà aperto il nostro immaginario cittadino per estrarne un fiammifero? Con quale di questi disegnini avrà egli immaginato o ricordato?! Forse con la scenetta dell’«Infanzia di Garibaldi»?! O forse con le gesta di «Garibaldi e la sua epopea»?!… Certamente qualcuno avrà utilizzato la scatoletta con i disegni degli ultimi, intensi, gloriosi combattimenti della Repubblica Romana della primavera del 1849, dalla «Terribile pugna di Villa Corsini», al «29 giugno Garibaldi a Porta San Pancrazio», fino alla drammatica «Ritirata di Garibaldi sull’Appennino». Il generoso coraggio dell’Eroe dei Due Mondi avrà certamente commosso colui che avrà visto l’immaginetta di «Garibaldi va in cerca di viveri presso Maldonado». Qualcuno avrà certamente seguito «Garibaldi a bordo della goletta», oppure il «Combattimento al salto di Sant’Antonio»… Immaginiamo quali immagini di trionfo si siano accese (insieme al fiammifero!) nella fantasia del nostro fumatore quando avrà visto la scatolina con «Garibaldi con i suoi mette in rotta gli ausiliari a Bezzecca», o quale la rabbia quando abbia rivissuto i tormenti di «Garibaldi prigioniero [che] viene percosso dal governatore Leonardo Millan», o quali i (più o meno) romantici pensieri rigirando fra le dita le immagini del «Primo incontro di Annita [sic] con Garibaldi», o di «Annita inerme con eroico esempio incita i pochi suoi fidi a disperata difesa».

Molto interessante, inoltre, anche il registro linguistico utilizzato, così solenne, retorico, lo stesso che incontriamo nella scatolina di «1860 Garibaldi, assalite le posizioni borboniche a Calatafimi, fumenta [sic!] i patrioti alla rivolta». Davanti a questi oggetti, quasi dei “santini laici”, ce n’è per tutte le categorie di studiosi: storici dell’età moderna, storici della lingua italiana, antropologi e storici delle tradizioni popolari…

Roma, Museo della Tabaccheria [Foto: Chiara Morabito, CC BY NC SA]
Roma, Museo della Tabaccheria [Foto: Chiara Morabito, CC BY NC SA]
Ma, potremmo dire, ad ogni epoca la sua scatola di fiammiferi! E dunque con un ardito salto temporale arriviamo al Secondo Dopoguerra, e poi agli anni Cinquanta, al boom economico, agli anni di un più diffuso benessere. In una sola, fondamentale parola, al cibo: per l’Italia dell’epoca, come anche per quella contemporanea, il cibo è elemento rivelatore dei bisogni, dei desideri e/o delle frustrazioni degli italiani. Ed ecco che nella ultima sala del Museo troviamo un’alta teca di vetro, su un ripiano della quale sono esposte le scatoline di fiammiferi con la serie “micologica”: un colorato concentrato di amanite, boleti, chiodini, pioppini, galletti, mazze di tamburo… Nessuna didascalia chiarisce qui né il nome scientifico né il nome popolare dei funghi, ma comunque sono tutte molto carine. Tutte, naturalmente, col bollino recante lo stemma della Repubblica italiana, poiché all’epoca i fiammiferi erano oggetto di monopolio di Stato.

Dai funghi ai banchetti, ecco un’altra serie di scatoline, su cui trionfano le tavole italiane riccamente imbandite: timballi, purè, paste al sugo, carni arrosto, pesci al forno, crostacei, zuppe di legumi… decisamente l’ Italia non fa più la fame.

Ed infine non poteva mancare la serie dei monumenti nostrani: nella stessa teca delle scatoline “gastronomiche”, infatti, ma su un altro ripiano, ecco le zampillanti Fontane d’Italia, serie con la quale tutti possono viaggiare e conoscere le meraviglie del nostro paese. Roma la fa da padrona, con l’immancabile Fontana di Trevi, con le due fontane di piazza San Pietro e con il possente Tritone. Ma possiamo spostarci anche a Firenze con la Fontana del Nettuno. Oppure a Tivoli con il Canopo di Villa Adriana e con i giochi d’acqua delle fontane rinascimentali di Villa d’Este. O in Lombardia, davanti a una anonima ma bella Fontana sul Lago di Como. O in Sicilia, davanti a una bella Fontana a Palermo

Roma, Museo della Tabaccheria [Foto: Chiara Morabito, CC BY NC SA]
Roma, Museo della Tabaccheria [Foto: Chiara Morabito, CC BY NC SA]
Ed ancora, da un ambito all’altro: chi di voi sa cosa è un Vulgoceritium vulgatum? Probabilmente la minor parte, tutti gli altri potranno (o avranno potuto, all’epoca) impararlo grazie alla serie “malacologica” delle scatoline di fiammiferi. Ebbene sì, parliamo di conchiglie, stavolta: ecco esposto, infatti,  uno dei suddetti contenitori con l’immagine di uno scintillante gasteropode.

Roma, Museo della Tabaccheria [Foto: Chiara Morabito, CC BY NC SA]
Roma, Museo della Tabaccheria [Foto: Chiara Morabito, CC BY NC SA]
Immancabile è la serie “papale”: due sono gli esemplari esposti, con Pio XII e con il tanto amato “papa buono” Giovanni XXIII, e chissà quante altre effigi pontificie avranno circolato all’epoca.

Concludiamo con due scatoline di «Fiammiferi controvento», appositamente studiati per resistere a pioggia, vento, umidità, e con un pezzo unico, o comunque al museo presente in un solo esemplare: una scatolina azzurra, decorata con delicati fiorellini rosa, e con i versi di Jacques Prévert che certamente tutti conosciamo, per (letteralmente) accendere la passione ed ardere d’amore: «Questo amore/Così violento/Così fragile/Così tenero/Così disperato […]». Davvero interessante, un oggetto della nostra cultura materiale che non può non ricordarci l’analogo fenomeno dei romantici cartigli che accompagnano i celeberrimi cioccolatini umbri.

E pensare che tutti questi “mondi”, questi aspetti della storia italiana, sono racchiusi in immagini su scatoline le cui dimensioni, quadrate o rettangolari, non superano i quattro/cinque centimetri!…

Ecco dunque come ricostruire la nostra Storia con oggetti d’uso quotidiani, anche piccoli ed effimeri, tanto massicciamente presenti in un determinato momento storico, ed altrettanto rapidamente pronti a scomparire in un determinato altro, e destinati dunque a divenire fonte storica, testimoni di un modo di vivere e di pensare.

Alla luce di questa esperienza, forse la prossima volta che staremo per gettare nella spazzatura qualche oggetto di uso comune, ci penseremo due volte, chissà…

[Chiara Morabito]

 

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