La bandiera più antica d’Italia: lo Stendardo di San Giorgio ai Musei Capitolini

La più antica bandiera italiana di cui si abbia notizia è lo Stendardo di San Giorgio, conservato presso la Sala del Medioevo dei Musei Capitolini. Un imponente vessillo che durante  le età tardo antica e medievale fu una delle immagini-simbolo di Roma, tra le più utilizzate e conosciute e in cui maggiormente la popolazione romana tutta si identificava: prima della Lupa Capitolina, infatti, lo stendardo era significativamente noto come la “Bandiera del popolo romano”.

Musei Capitolini, Stendardo di San Giorgio [Foto: Musei Capitolini]
Musei Capitolini, Stendardo di San Giorgio [Foto: Musei Capitolini]
L’uso di stendardi nasce in ambito militare, laddove i diversi eserciti schierati utilizzavano ciascuno un proprio vessillo dotato di apposito ed esclusivo stemma identificativo. Nel corso del tempo l’uso del gonfalone si estese dall’ambito militare a quello civile, per essere utilizzato al medesimo scopo distintivo anche dalle confraternite religiose e dalle associazioni laiche.

Gli stendardi erano grandi stoffe, per lo più rettangolari, distese su un’asta orizzontale attaccata a una verticale (pennone); tale supporto, una vera e propria intelaiatura a forma di croce, era ottimale per l’ostensione del vessillo in testa alle schiere militari o durante le processioni religiose e le parate civiche, poiché risultava così ben dispiegato e ben visibile da entrambi i lati.

Lo Stendardo di San Giorgio fu realizzato fra 1295 e 1301, quando il committente Jacopo Stefaneschi era cardinale titolare della basilica di San Giorgio al Velabro, in cui il drappo era situato. Una collocazione di prestigio, poiché proprio in quella chiesa era custodita la testa del Santo, reliquia all’epoca fra le più preziose e venerate. Il cranio, trasferito secoli dopo al Vaticano, fu donato da Paolo VI al Comune di Roma nel 1966, ed esposto prima nel Palazzo Senatorio presso la Sala delle Bandiere e poi ai Musei Capitolini. Ancora una volta un dono papale al Comune di Roma, cinque secoli dopo il dopo dello Spinario da parte di Sisto IV. Attualmente è conservato presso la basilica di San Giorgio a Lidda, in Israele.

Lo Stendardo capitolino è composto da 7 fasce in seta rossa della lunghezza di 40 centimetri ciascuna, per un totale di metri 2,80 di larghezza e 4,20 di altezza. I brani di tessuto sono giustapposti, cuciti l’uno accanto all’altro da fili d’oro, accostati fino alla parte inferiore dove le estremità delle fasce restano libere l’una dall’altra, a mo’ di frangia. Alcuni inserti sono in cuoio (la testa del santo, la lancia, un paio di dettagli), a dare risalto e consistenza all’immagine nel suo complesso.

Tramite cucitura i lacerti di stoffe che disegnano le sagome dei personaggi sono applicati sulle fasce o intarsiati, cioè inseriti fra una fascia e l’altra. Oggi sbiadite ma in origine in vivi colori (dal bianco avorio al giallo, dal rosa al rosso, dal marrone al celeste), le sagome così composte raccontano l’episodio più celebre della vita del Santo, vissuto e martirizzato durante il principato di Diocleziano: il combattimento contro il drago e la liberazione della principessa.

La vicenda è nota soprattutto nella versione riportata dalla Legenda aurea, la raccolta di agiografie scritta dal domenicano Jacopo da Varagine nel XIII secolo: un malvagio drago chiedeva alla popolazione della città libica di Selem di essere incessantemente nutrito con pecore. Giunto il momento in cui i montoni stavano per terminare, il drago chiese il sacrifico di giovinetti e giovanette. La popolazione cominciò a pagare il terribile tributo, ma venne il giorno in cui fra gli sfortunati fu sorteggiata la figlia del re. Il sovrano tentò di evitare il peggio, ma invano. Fu allora proprio l’intervento miracoloso e provvidenziale di San Giorgio a risolvere il dilemma: in sella al proprio cavallo, protetto da uno scudo crociato e armato di lancia, il santo trafisse il mostro conficcandogli l’arma fin dentro alle fauci e lo consegnò, ormai sconfitto, alla fanciulla, dicendole di condurlo in città per invitare la popolazione alla conversione e al battesimo, così da allontanare per sempre il Male. Così ella fece, e così il Bene trionfò.

Lo stendardo mostra le sagome di tutti gli elementi narrativi salienti della leggenda: sul vivace sfondo rosso ritroviamo, in primo piano, il santo cavaliere e il grande drago che si contorce trafitto dalla lancia, poi accanto la principessa e, in posizione leggermente arretrata, il di lei castello con tanto di torri  e di familiari che assistono alla scena. Nella parte superiore corre l’iscrizione S(anctus) Geor(g)ius.

Nel corso del Novecento il gonfalone è stato sottoposto a più restauri; l’ultimo, il più radicale, risale al 2003; in seguito a quest’ultimo intervento il telo, fino ad allora conservato in un armadio ligneo,  è stato collocato in una teca appositamente concepita da una ditta specializzata per garantire la conservazione ottimale di questo prezioso, unico oggetto.

[Chiara Morabito]

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