Le chiese affrescate della Bucovina meridionale: Suceava, Dragomirna, Putna, Sucevita, Moldovita, Voronet

I monasteri della Bucovina meridionale, con le loro chiese affrescate, sono veri tesori di storia, arte e architettura, ubicati nella Romania settentrionale al confine con l’Ucraina, sui Monti Carpazi. Con altri due compagni di viaggio, ne ho potuto visitare diversi, in occasione di un cammino a piedi lungo la Via Transilvanica da Putna a Poiana Negri

La Bucovina, in precedenza parte del principato di Moldavia, deve il nome agli asburgici i quali, quando la acquisirono nel 1775, si ispirarono al termine slavo “buk” che significa “albero di faggio”.  

È una regione molto tranquilla, dove gli abitanti sono ancora legati ad antiche tradizioni, dove il tempo si è fermato a qualche decennio fa, dove gli animali domestici sono ancora di supporto all’uomo nelle pratiche agricole, dove i giovani partono per l’estero in cerca di lavoro, soprattutto Germania e Belgio, e appena possono cercano di tornare.

Vero tesoro della Bucovina sono i monasteri ortodossi con le loro chiese affrescate che dal 1993 sono divenuti Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.  

Segnale turistico con i monasteri moldavi [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Segnale turistico con i monasteri moldavi [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Vennero costruiti tra il XV e il XVI secolo quale avamposto della resistenza ortodossa nel principato di Moldavia contro l’espansionismo musulmano. A volerne la costruzione fu Stefano il Grande (Stefan cel Mare, 1433-1504), voivoda (condottiero) di Moldavia che difese con ogni mezzo il suo regno dalle mire espansionistiche di ungheresi, polacchi e soprattutto turchi. Vincitore contro questi ultimi nella battaglia di Vaslui (10 gennaio 1475), che vide il suo esercito contrapposto a quello di Maometto II, fu addirittura nominato da papa Sisto IV “vero campione della fede cristiana” (verus christianae fidei athleta). La chiesa ortodossa lo venera come santo e lo celebra il 2 luglio. Stefano si assicurò il trono di Moldavia grazie al supporto del principe di Valacchia Vlad III Tepes l’impalatore, meglio noto come “Dracula” (figlio del Diavolo), fonte di ispirazione per lo scrittore irlandese Bram Stoker che creò il celebre personaggio meglio noto come il conte Dracula. A seguito della vittoria sui turchi, Stefano il Grande sottoscrisse un accordo di pace con il sultano Beyazid II, garantendo in tal modo l’indipendenza della Moldavia. Oltre a promuovere la costruzione di chiese e monasteri in territorio moldavo, riscattò dai turchi anche il Monte Athos in Grecia, così da garantire la sopravvivenza di questo centro monastico.

Monastero di Putna, ritratto di Stefano Il Grande [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Monastero di Putna, ritratto di Stefano Il Grande [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Come tutte le chiese ortodosse, anche le chiese moldave presentano un impianto triconco, con pronao, navata e santuario con l’altare non accessibile ai fedeli. Santuario e navata sono separati dall’iconostasi, una struttura divisoria adorna di immagini sacre. Le chiese erano rivestite integralmente da soggetti iconografici legati tra loro e riproposti in tutti gli edifici (all’interno Vita e passione di Gesù e tematiche cristologiche e agiografiche, all’esterno soggetti legati alla Storia della Salvezza del genere umano, dal peccato originale al giudizio finale, ma anche raffigurazioni di santi patroni e degli episodi delle loro vite, storie di santi cavalieri e militari, ecc.), anche se talvolta, come vedremo, compaiono raffigurazioni particolari, talvolta legate ad avvenimenti storici importanti. 

Le pitture esterne andavano generalmente lette in chiave anti-ottomana con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione nei confronti del nemico esterno e forse anche in relazione al diffondersi del protestantesimo in Moldavia che negava il ruolo dell’icona nella vita dei fedeli, in questi caso quindi accentuando l’attenzione verso il nemico interno. Il ruolo del colore era fondamentale: per suo tramite, le immagini si imponevano allo spettatore, che veniva attirato e spinto a seguire la narrazione. Chi sapeva leggere poteva anche usufruire delle didascalie in caratteri cirillici.

Ogni chiesa emana una profonda spiritualità, ad ogni ora è frequentata da fedeli che vi si recano per pregare e fare offerte per i propri cari, scrivendo i loro nomi su dei bigliettini, che verranno letti nel corso delle funzioni religiose oppure accendendo candele negli spazi appositamente allestiti.

Monastero di Voronet, candele accese in memoria dei defunti [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Monastero di Voronet, candele accese in memoria dei defunti [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Lo scisma d’Oriente tra ortodossi e cattolici risale al 1054, quando papa Leone IX, attraverso i suoi ambasciatori, scomunicò il patriarca Michele I Cerulario e quest’ultimo, a sua volta, lanciò un anatema contro gli ambasciatori papali. Le dispute alla base delle divergenze tra le due chiese erano sostanzialmente due: innanzitutto venne messa in discussione l’autorità del pontefice, vescovo di Roma, investito del primato su tutta la Chiesa per mandato di Cristo. Gli ortodossi infatti reclamavano i propri patriarcati orientali (all’epoca Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme) ed erano disposti a riconoscere al patriarca d’Occidente – il papa – un primato onorario e l’effettiva autorità solo sui cristiani d’Occidente. La seconda disputa riguardava invece l’ambito trinitario, in quanto per  i cattolici  lo Spirito Santo  proviene dal Padre e dal Figlio (filoquismo), mentre per gli ortodossi lo Spirito Santo procede solo dal Padre (monopatrismo). 

Entrando in una chiesa moldava, ci si accorge immediatamente anche di numerose variazioni nei rituali liturgici. Gli ortodossi si fanno il segno della croce con tre dita (pollice, indice e medio, simbolo della Trinità) mentre le altre due sono ripiegate sul palmo della mano a indicare la natura umana e divina di Gesù Cristo, si toccano quindi la fronte, il petto, la spalla destra e infine la spalla sinistra. Per l’Eucaristia, gli ortodossi utilizzano pane fermentato (il prosphoron = offerta) anziché azzimo e quando pregano stanno in piedi o seduti, raramente in ginocchio e per lo più nelle cappelle, per questo gli spazi interni non sono occupati dalle tradizionali panche delle chiese cattoliche, ma solo da sedie laterali con alti schienali. Gli ortodossi inoltre fanno riferimento al calendario giuliano istituito da Giulio Cesare nel 46 a.C. anziché a quello gregoriano del 1582 adottato dai cattolici. Da qui la differenza nelle date di celebrazione del Natale e della Pasqua.  I sacerdoti portano tradizionalmente la barba e si possono sposare e avere figli, purché il matrimonio sia avvenuto precedentemente all’ordinazione.

Tavolo per le offerte all'interno di una chiesa di Suceava [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Tavolo per le offerte all’interno di una chiesa di Suceava [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Proseguiamo la narrazione con i monasteri che abbiamo visitato, tutti nella provincia di Suceava, portando alla vostra attenzione alcuni dettagli che hanno attirato la nostra attenzione e che intendiamo riproporvi.

Monastero di San Giovanni Nuovo a Suceava

Il Monastero di San Giovanni Nuovo a Suceava, a pochi passi dal centro storico, fu costruito nel 1514 da Bogdan III, figlio di Stefano il Grande e terminato dal nipote Stefanita. Qui sono conservate le reliquie del santo. La chiesa fu dipinta all’interno e all’esterno, anche se i dipinti esterni sono in pessimo stato di conservazione e attualmente in fase di restauro.

Suceava, chiesa del Monastero di San Giovanni Nuovo [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Suceava, chiesa del Monastero di San Giovanni Nuovo [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Il luogo è pieno di spiritualità, una donna prega immobile di fronte al muro esterno di una piccola cappella. Quando andiamo via è ancora lì.  All’esterno della fornitissima bottega del monastero con prodotti di erboristeria, cosmetici, arte sacra e artigianato, dolciumi, sono collocati grossi contenitori per la raccolta dell’acqua santa. Li ritroveremo in tutti i monasteri che visiteremo.

Suceava, Monastero di San Giovanni Nuovo, i contenitori per l'acqua santa [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Suceava, Monastero di San Giovanni Nuovo, i contenitori per l’acqua santa [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]

Monastero di Dragomirna

Dal centro di Suceava ci facciamo portare con un taxi al Monastero di Dragomirna, a una quindicina di chilometri dal centro della città, circondato da dolci colline con boschi di abeti e querce. È un monastero femminile, costruito in epoca tarda rispetto agli altri, dalle dimensioni insolite, essendo molto stretto e alto. La sua storia iniziò nel 1603 con la costruzione della piccola chiesa del cimitero intitolata ai Santi Enoc, Elia e Giovanni Teologo, cui seguì nel 1609 l’inaugurazione della chiesa grande dedicata alla Trinità.

Monastero di Dragomirna, il cimitero delle monache, esterno alle mura [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Monastero di Dragomirna, il cimitero delle monache, esterno alle mura [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Voluto dal Metropolita di Moldavia Anastasie Crimca, dal padre della filologia latino-rumena Luca Stroici e dal boiardo (membro dell’alta aristocrazia feudale) Miron Barnovschi negli anni Trenta del XVII secolo, in conseguenza delle incursioni turche e tartare il monastero fu circondato da alte mura che gli conferirono l’aspetto di una fortezza con alte torri angolari. Di fattura gotica, slanciata verso l’alto, l’interno della chiesa conserva affreschi solo nella porzione dell’altare e della navata.

Monastero di Dragomirna, la chiesa gotica [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Monastero di Dragomirna, la chiesa gotica [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
All’ingresso, come in tutti gli altri monasteri, uno stemma con una testa di uro, sovrasta la porta. L’uro era un animale veloce, massiccio, forte e aggressivo, lontano antenato delle mucche domestiche, oggetto di cacce sconsiderate sin dal Medioevo che portarono alla sua estinzione nel XVII secolo. Pensate che l’animale era talmente maestoso che fu venerato al tempo nei Daci e Hitler ordinò a due zoologi di provare a ricrearlo artificialmente quale simbolo di superiorità razziale. Dal XIV secolo la testa di uro fece parte dello stemma della Moldavia.

Monastero di Dragomirna, raffigurazione di testa di uro sopra il portale d'ingresso [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Monastero di Dragomirna, raffigurazione di testa di uro sopra il portale d’ingresso [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Per accedere alle varie sale si salgono ogni volta sette gradini, numero simbolico che rimanda ai sette sacramenti della dottrina ortodossa, ai sette giorni della creazione, ai sette doni dello Spirito Santo. Tra le curiosità, la decorazione della pietra modellata con elementi evocativi della Trinità.

Monastero di Dragomirna, affreschi all'interno della chiesa [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Monastero di Dragomirna, affreschi all’interno della chiesa [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Prima di lasciare Dragomirna, vi consigliamo una visita al piccolo museo che ricorda il periodo in cui il monastero ospitò un’importante scuola di miniaturisti e calligrafi: nelle teche sono esposti cinque preziosi manoscritti, due copie di Vangeli, due messali e un salterio, copiati e illustrati da Anastasie Crimca e dai suoi collaboratori.

Museo del Monastero di Dragomirna, manoscritto miniato su pergamena curato dal metropolita Anastasie Crimca
Museo del Monastero di Dragomirna, manoscritto miniato su pergamena curato dal metropolita Anastasie Crimca [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]

Monastero di Putna

Il monastero maschile di Putna si trova a una ventina di minuti a piedi dalla stazione ferroviaria omonima. Ha un’importanza particolare per i fedeli ortodossi in quanto fu il primo monastero a essere costruito da Stefano il Grande tra il 1466 e il 1469.  Qui riposano le sue spoglie, insieme a quelle di due mogli, dei figli e di un nipote.

Per i rumeni, Putna rappresenta il “cuore e la consapevolezza della Grande Romania”, essendo rimasto in uso perfino dopo l’occupazione russa della Bucovina successiva al 1944.

Chiesa del Monastero di Putna [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa del Monastero di Putna [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Dipinta all’interno e all’esterno, purtroppo la chiesa, dedicata all’Assunzione della Vergine, soffrì a causa di incendi, terremoti, furti e saccheggi e fu restaurata e ricostruita più volte. L’edificio che possiamo ammirare oggi risale agli anni Sessanta del Seicento. Nulla è rimasto dei dipinti originali. Quelli attuali risalgono al 2001 quando per volere dell’arcivescovo Pimen furono realizzati con la tecnica dell’affresco dai fratelli Michael e Gabriel Moroşan, che resero in pittura tradizionali iconografie ortodosse. All’interno si conserva l’icona miracolosa della “Madre di Dio”, portata a Putna nel 1472 da Costantinopoli.

Chiesa del Monastero di Putna, affreschi negli ambienti interni [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa del Monastero di Putna, affreschi negli ambienti interni [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Nel piccolo museo, sono esposti tesori di broccato come la copertura della tomba di Stefano il Grande ricamata con fili d’oro, d’argento e seta e quella della moglie Maria Asanina Paleologina, vero e proprio unicum, testimonianza del potere della dinastia Paleologa, ultima famiglia regnante dell’impero cristiano bizantino con capitale a Costantinopoli. Maria era una discendente della famiglia imperiale e, sposandola, Stefano il Grande espresse pubblicamente la sua visione politica secondo la quale la leadership è un dono del signore e un leader deve occuparsi del benessere dei suoi sudditi in risposta alla benevolenza divina.

Monastero di Suceviţa

Il monastero fortificato di Suceviţa, sorto sulle rive del fiume omonimo, è uno dei più belli, costruito dai fratelli Gheorghe, Ieremia e Simion Movilā, consiglieri del voivoda, negli anni 1582-1584. La chiesa, intitolata alla Resurrezione di Cristo, riunisce elementi di arte bizantina e gotica a cui si aggiungono tratti caratteristici delle chiese lignee moldave. Le pitture ad affresco si devono ai due mastri moldavi, i fratelli Ioan e Sofronie di Pângārati, pittori di icone e miniaturisti che diedero il meglio di sé nell’interpretare le narrazioni della vita di Mosè e di alcuni santi (tra cui San Giorgio) a scopo educativo.

Chiesa del Monastero di Sucevita [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa del Monastero di Sucevita [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Capolavoro indiscusso è l’affresco della Scala delle Virtù sul muro settentrionale esterno, che simboleggia il contrasto tra l’ordine e il caos, la battaglia tra il bene e il male, l’umana aspirazione alla perfezione. Una serie di monaci sale faticosamente lungo la Scala del Paradiso, composta di trenta gradini che dalla terra ascendono verso il cielo, corrispondenti all’età di Gesù dalla nascita all’inizio del ministero.

Chiesa del Monastero di Sucevita, affresco con la Scala delle Virtù [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa del Monastero di Sucevita, affresco con la Scala delle Virtù [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Ogni gradino rappresenta una virtù e l’ascesa che ogni monaco deve compiere è molto faticosa, nella salita i monaci vengono accompagnati dagli angeli, chi riesce a guadagnare la cima viene premiato con la corona della gloria e l’ingresso nella Gerusalemme celeste.  Il rischio della caduta è sempre in agguato, una pletora di diavoli, allegoria delle tentazioni, strattona i monaci che scivolano e cercano di rimanere aggrappati ai pioli. I più deboli non ce la fanno e precipitano nella gola di Lucifero e di altri mostri infernali.

Chiesa del Monastero di Sucevita, dettaglio dell'affresco con la Scala delle Virtù [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa del Monastero di Sucevita, dettaglio dell’affresco con la Scala delle Virtù [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
L’affresco è la traduzione pittorica della Scala della divina ascesa o Scala del Paradiso (Klimax), scritta dal monaco cristiano San Giovanni Climaco sul Monte Sinai nel VII secolo, vero e proprio manuale metodologico per innalzare la propria anima a Dio utilizzando la metafora della Scala, che individua nella pace interiore ed esteriore e nella pratica ascetica l’essenza della beatitudine mistica cristiana. Già in epoca antica il libro ebbe molto successo e venne tradotto in latino, siriaco, armeno, arabo e slavo. I primi sette gradini, a partire dalla terra, simboleggiano la rinuncia, il distacco, l’obbedienza, i sedici centrali la lotta ai vizi dell’irascibilità, della lussuria, della razionalità, quelli finali la perfezione cristiana raggiungibile attraverso l’umiltà, la preghiera, la fede, la carità.

Monastero Moldovita

Un altro monastero fortificato molto interessante è il Monastero Moldovita, nel comune di Vatra Moldoviței. Fu eretto dal principe Petru Rares, figlio illegittimo di Stefano il Grande, nel 1532 nei pressi di un precedente complesso in pietra risalente ai tempi del padre. Intitolata all’Annunciazione, la chiesa si caratterizza per una serie di innovazioni architettoniche, come il portale monumentale ad arcate e la panca che circonda la chiesa. Le pitture originali si sono conservate, il che fa del Monastero femminile Moldovita uno dei gioielli della Bucovina. 

Chiesa del Monastero Moldovita [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa del Monastero Moldovita [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Sulla parete meridionale esterna possiamo osservare una scena veramente unica: la raffigurazione dell’assedio di Costantinopoli da terra e dal mare.

L’immagine dell’assedio ricorda una vicenda avvenuta nel 626 quando l’imperatore Eraclio riuscì a respingere l’attacco di Costantinopoli da parte di un’orda di avari, popolazione turco-mongola che attaccò la città da terra e dal mare. In realtà, il dipinto è un’allegoria dello stato d’animo della popolazione moldava, ancora fortemente provata dalla presa di Costantinopoli del 1453 da parte del sultano Maometto II che decretò la caduta dell’Impero bizantino e dell’Impero romano d’Oriente, vissuta con terrore dai cristiani di Moldavia, timorosi di finire sotto il giogo dei musulmani.

Chiesa del Monastero Moldovita, affresco con l'Assedio di Costantinopoli [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa del Monastero Moldovita, affresco con l’Assedio di Costantinopoli [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
L’esercito turco, guidato dal sultano sul suo cavallo giallo, scende dalla collina con la cavalleria, la fanteria e le batterie di cannoni. Sul mare la flotta turca se la passa male, in balia di una tempesta e di una pioggia di fuoco. Gli assediati difendono strenuamente la città turrita per mezzo di cannoni e arcieri, mentre per le vie della città si snoda una processione che ostenta un’icona della Vergine col Bambino e un’insegna con il velo della Veronica. Vediamo sfilare i diaconi, i sacerdoti, l’imperatore, i nobili, l’imperatrice e il popolo, tutti uniti nell’invocare la protezione divina.

Chiesa del Monastero Moldovita, dettagli dell'affresco con l'Assedio di Costantinopoli [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa del Monastero Moldovita, dettagli dell’affresco con l’Assedio di Costantinopoli [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Lungo la parete esterna possiamo osservare anche la processione dei filosofi e degli scrittori classici greci: Pitagora, Socrate, Aristotele, Platone, Sofocle, Plutarco, Astracoe… 

Monastero di Voronet

A pochi chilometri dalla cittadina di Gura Humorului, servita dal treno, si colloca il monastero più bello, voluto da Stefano il Grande nel 1488, a seguito della vittoria contro i turchi del 1475. Gli affreschi esterni della chiesa furono aggiunti quasi un secolo dopo per ordine del metropolita Grigorie Roşca che li fece dipingere dallo ieromonaco (sacerdote e monaco) Gaurila. I dipinti sono caratterizzati dalla presenza di un azzurro molto particolare – l’azzurro di Voronet – la cui composizione chimica è tuttora oggetto di ricerca: pare che la tonalità vari in base al grado di umidità presente nell’aria.

Chiesa del Monastero di Voronet [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa del Monastero di Voronet [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Voronet è anche nota come la “Cappella Sistina d’Oriente” per la presenza del Giudizio Universale nel vestibolo della facciata occidentale della chiesa, iconografia presente anche in altre chiese moldave, ma qui particolarmente ben conservata. I motivi iconografici, riportati su diversi registri rimandano sempre a fonti bibliche, come l’Apocalisse di Giovanni e i testi dei profeti e li dobbiamo leggere dall’alto verso il basso, dal Cielo verso la Terra.

Chiesa del Monastero di Voronet, Il Giudizio Universale [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa del Monastero di Voronet, Il Giudizio Universale [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Alziamo lo sguardo e iniziamo dal registro superiore dove Gesù Cristo è ritratto come un vecchio con capelli e barba bianchi (l’antico di Giorni), accompagnato da una pletora di angeli che arrotolano la carta del cielo. Nel firmamento sono raffigurati i sette cieli, il sole, la luna, le stelle, le costellazioni dei segni zodiacali. Il tempo è finito, ha inizio l’eternità. Dietro il velo del tempo si aprono le porte che svelano l’immagine dell’Eterno. 

Nel registro inferiore, Gesù Giudice sprizza raggi luminosi, le sue mani fanno riferimento alla sentenza: la destra benedicente assolve, la sinistra respingente condanna. Ai suoi lati la Madonna e S. Giovanni Battista intercedono per l’umanità, mentre gli Apostoli hanno la funzione di giudici nel Tribunale celeste. Dai piedi del Cristo discende un fiume di fuoco sempre più ampio, popolato di diavoli e dannati, che termina in una sorta di lago dove è raffigurato Lucifero. 

Nel registro successivo è raffigurata l’Etimasia, ovvero la preparazione del trono per il giudizio, ancora vuoto, alla cui base un calice contiene i quattro chiodi della crocifissione. I peccatori Adamo ed Eva sono inginocchiati ai lati del Trono, saranno i primi ad essere perdonati. 

Nel quarto registro un’enorme stadera, bilancia a due bracci, raffigura la Psicostasia, la pesatura delle anime. Non mancano le raffigurazioni della morte del giusto e dell’ingiusto, il primo, vestito di bianco, coricato con le braccia incrociate sul petto, dalla cui bocca fuoriesce l’anima, raccolta da un arcangelo mentre Davide suona una sorta di mandolino (la cobza moldava), il secondo, trafitto da un arcangelo con una lancia e tormentato dai diavoli che lo vogliono condurre con sé.

Chiesa del Monastero di Voronet, Il Giudizio Universale, la morte del giusto e dell'ingiusto, il fiume di fuoco [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa del Monastero di Voronet, Il Giudizio Universale, la morte del giusto e dell’ingiusto, il fiume di fuoco [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
I beati, allineati su più registri, ascendono verso il Paradiso, guidati da San Pietro che con le chiavi apre le porte del Paradiso. Tra loro ci sono i profeti, i teologi, gli asceti, i re giusti, le sante, le donne martiri, possiamo riconoscere Elena col figlio Costantino e l’anacoreta Onofrio per la sua lunga barba. San Paolo guida gli eletti in qualità di testimone d’assoluzione, mentre Mosè, testimone d’accusa, esclude dalla presenza divina i gruppi etnici “colpevoli”: ebrei, turchi, armeni, etiopi e saraceni. 

Chiesa del Monastero di Voronet, Il Giudizio Universale,San Pietro apre le porte del Paradiso [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa del Monastero di Voronet, Il Giudizio Universale,San Pietro apre le porte del Paradiso [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
La resurrezione dei morti è accompagnata dal suono delle trombe. Bestie e animali terrestri e marini tra cui un leone, un elefante, un cinghiale, dei draghi, restituiscono dalle loro bocche i defunti. La terra è rappresentata da una figura femminile con un abete sul capo che tiene in mano un sepolcro con un morto che sta risorgendo, il mare è visualizzato come un grande lago su cui campeggia una donna a cavallo di un cetaceo con un veliero in mano.

Chiesa del Monastero di Voronet, Il Giudizio Universale, la resurrezione dei morti [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa del Monastero di Voronet, Il Giudizio Universale, la resurrezione dei morti [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Il paradiso è dipinto come un giardino meraviglioso all’interno delle mura della città celeste, la cui porta, ancora chiusa, è controllata da un cherubino armato. Tra gli alberi possiamo riconoscere Cristo albero della vita, l’albero della conoscenza del bene e del male, la vite, il cedro, il fico, il cipresso, l’ulivo, la palma. Anche se le porte sono ancora chiuse, il Paradiso è già abitato da alcuni eletti: Maria, il buon ladrone Disma, il patriarca Abramo che porta in grembo l’anima di Lazzaro, Isacco e Giacobbe con le anime dei giusti. 

Chiesa del Monastero di Voronet, Il Giudizio Universale, il Giardino del Paradiso [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa del Monastero di Voronet, Il Giudizio Universale, il Giardino del Paradiso [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Rimanendo in tema botanico, terminiamo la nostra narrazione con l’albero di Jesse, anch’esso affrescato sulle pareti esterne di diverse chiese, ma qui particolarmente bello con tutte le figure che risaltano sull’azzurro: si tratta della schematizzazione dell’albero genealogico di Gesù Cristo a partire da Jesse, il padre del re Davide, tema molto importante per tutte e tre le religioni abramitiche: il cristianesimo, l’ebraismo, l’Islam.

Chiesa del Monastero di Voronet, L'albero di Jesse [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiesa del Monastero di Voronet, L’albero di Jesse [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
[Maria Teresa Natale]

One comment

  1. Sei sempre fantastica. Precisa e più che esaustiva nelle descrizioni di questo bel viaggio in Romania.
    Aspetto di unirmi a te in qualche tuo prossimo viaggio più accessibile x me.
    Brava.
    Ciao

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