Per la libertà: il monumento alla Resistenza di Ugo Attardi in via Lucullo

Se vi trovate a passeggiare nei pressi di via Bissolati, non mancate di andare in via Lucullo. Al civico 6 si trova un palazzo degli anni Trenta del Novecento che dopo la liberazione di Roma ospitò consecutivamente le sedi del Partito socialista italiano, della Federazione giovanile socialista e la sede generale dell’Unione Italiana del Lavoro (UIL), ancora presente.

Una targa, apposta dal Comune nel 1967 ricorda che In questo edificio il Tribunale di guerra nazista durante l’infausta occupazione vanamente tentò di soffocare nel sangue l’anelito di libertà del popolo romano.

Nella carta topografica del terrore nei nove mesi di occupazione nazista via Lucullo era la sede del Tribunale di guerra germanico dove si formalizzavano le condanne e le deportazioni. Nei processi, dove i giudici erano ufficiali delle SS, la parvenza di legalità era solamente un’illusione, quasi sempre le sentenze erano veloci e scontate, le motivazioni ricorrenti spionaggio e complicità. Più che un luogo di tortura (come le pensioni Iaccarino e Oltremare o il carcere di via Tasso), via Lucullo era una sede di transito per interrogatori e proclamazioni di sentenze, trasferita qui a seguito dell’attentato dinamitardo all’Hotel Flora, avvenuto il 19 dicembre 1943 per mano di Antonello Trombadori e i gappisti Maria Teresa Regard, Franco Calamandrei e Arminio Savioli.  In realtà il Tribunale speciale per la difesa dello Stato era stato un organismo del regime fascista, istituito per giudicare i reati contro la sicurezza dello Stato e del regime, con sede sede presso il Palazzaccio dal 1926 al 1943. Con l’istituzione della Repubblica sociale italiana, proprio a partire dal 1943 i tedeschi trasferirono le sedi del Tribunale in diversi luoghi della città, tra cui il citato Hotel Flora.

Poco prima della fuga da Roma, tra la fine di maggio e i primi di giugno 1944, i tedeschi bruciarono gran parte dei verbali relativi agli atti processuali affinché non cadessero nelle mani degli Alleati. cosicché al termine della guerra è stato molto difficile, se non impossibile, ricostruire la storia di tutti coloro che sono transitati nel tribunale di via Lucullo. Nel ricordo dei prigionieri, la sala del Tribunale era un grande salone con un grande tavolo sul fondo coperto da una bandiera del Reich, di fronte al quale erano collocate quattro sedie per gli imputati inermi, guardati a vista da soldati armati.

Di fronte all’edificio, soffermatevi a osservare con attenzione “Per la libertà”, un bassorilievo bronzeo realizzato dallo scultore ligure Ugo Attardi (1923-2006) tra il 1986 e il 1987 su commissione della UIL, fuso presso la Fonderia d’arte della Zecca.

Si tratta di un monumento alla Resistenza, poco noto ai più, che costituisce uno straordinario strumento d’informazione storica, ricco di simbologie, allegorie e metafore lasciate all’interpretazione del passante, che ha come protagonista una vittima già defunta o in fin di vita disteso sul pavimento di una camera di tortura. Nelle parole di Attardi:

L’interno può essere un loculo, una città, un mondo, è una prigione in questo caso, Le mura, il tetto, le pareti, il pavimento ondeggiano per effetto della prospettiva deformante, spettatrici dell’impotenza, della noia, dell’insonnia, del sonno e della morte di coloro che vi sono trascorsi. La perdita di cognizione di spazio e tempo oltrepassa il corpo e la mente del prigioniero. Il soffitto è evocato dalla presenza della lampada, che inchioda il corpo dell’uomo, disteso ma contemporaneamente emergente dal suolo.

Il corpo è l’elemento centrale della composizione circondata da una serie di oggetti scolpiti: una sedia, una ciotola, una tenaglia, una corda spezzata, uno sgabello, dei guanti, un bastone, una lampada, un ritratto di Mussolini, principale responsabile della dittatura fascista e del disastro della guerra.

Riportiamo un altro commento dello scultore, che ci aiuta a capire meglio le suggestioni e i sentimenti che hanno ispirato la sua opera:

Non so immaginare coraggio più grande di quello mostrato da chi si mantiene forte nelle ore che precedono un interrogatorio, affrontando lo sgherro esperto di torture e di ‘piaceri della crudeltà’. Nella stanza dell’attesa c’è il tempo per trovare cento motivazioni che giustifichino il cedimento; c’è, se si vuole, anche la scoperta della poetica umanità dell’essere fragile; quando ci si sente invischiati in un vuoto assoluto, col rimpianto di stagioni serene, nell’orrore di una vicina violenza. Cittadini umili e anonimi, non responsabilizzati dalla divisa o dall’abito dell’ecclesiastico, ma forti soltanto della propria basilare dignità e della fede nei valori della libertà, mi hanno sempre stupito per il loro eroismo. Quella che è incisa nel bronzo è la stanza delle attese, lo spazio della terribile gabbia, spazio unico e al tempo stesso molteplice; ora muto, ora riecheggiante presenze e memorie, vuoti e connessioni. Spazio dove l’uomo, ormai veramente solo, ritrova in sé quel qualcosa di vasto, di magnifico, di incomprensibile che è il coraggio. 

Alla base del monumento possiamo leggere la frase: La vita di uomini forti fu spenta / qui dalla ferocia del nazismo l’impegno civile del sindacato / tragga alimento dalla memoria storica / non scenda il silenzio sul sacrificio / che scolpì il tempo delle libertà / Unione Italiana del Lavoro.

Tutte le citazioni sono tratte dal volume: Ugo Attardi, Per la libertà, a cura di Gianfranco Proietti, Roma: Edit Labor, 1987.

[Maria Teresa Natale]

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