Procida, la Congrega dei Turchini e il Cristo morto di Carmine Lantriceni

Se vi capita di andare a Procida, non lasciatevi sfuggire una visita alla chiesa intitolata a San Tommaso d’Aquino, gestita dalla Congrega dei Turchini, al cui interno si conserva la spettacolare scultura lignea settecentesca del Cristo morto di Carmine Lantraceni. Noi abbiamo avuto avuto la fortuna di visitarla con il priore della Congrega, Matteo Germinario, che  ci ha raccontato una storia molto interessante.

La chiesa venne intitolata a  San Tommaso d’Aquino, uno dei più grandi dottori della Chiesa, per volere dei proprietari, la famiglia Minichini che abitava nei pressi. Ad un certo punto la chiesa doveva essere annessa a un convento per suore di clausura che però non venne mai completato, cosicché nel 1885 il complesso fu acquistato da una Congrega di laici sotto l’invocazione dell’Immacolata Concezione della Beatissima Vergine, istituita nel 1627 nella Chiesa di San Michele Arcangelo a Terra Murata e trasferitasi qui nel 1892. Tale Congrega, nota come Congrega dei Turchini dal manto azzurro della Madonna, nacque in contrapposizione alla tardo-cinquecentesca Congrega dei Bianchi del Santissimo Sacramento, alla quale appartenevano solo nobili, titolati, possidenti, mentre la povera gente non poteva farne parte.

Procida, Chiesa di San Michele Arcagngelo, lo stemma della Congrega dei Bianchi [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Procida, Chiesa di San Michele Arcagngelo, lo stemma della Congrega dei Bianchi [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
La Congrega dei Turchini nacque dall’unione di più congreghe sparse sul territorio (congrega viene da “cum gregem”) che grazie ai Padri Gesuiti stanziatisi a Procida vennero riunite in un’unica congrega dedicata per l’appunto all’Immacolata Concezione. All’interno della chiesa è esposto un quadro dell’Immacolata, una delle poche rappresentazioni della Madonna in stato interessante, incinta, con San Giuseppe e Sant’Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù.

Questa congrega, da quando è nata, ha sempre organizzato la processione del Venerdì Santo. In origine lo faceva in modo penitenziale, con i partecipanti che si autofustigavano, indossavano il cilicio e la corona di spine. Anche la Congrega dei Bianchi organizzava una processione penitenziale, ma lo faceva il Giovedì Santo, perché quella era la congrega del Santissimo Sacramento, e il Santissimo Sacramento si celebra istituzionalmente il Giovedì Santo con la Messa in Coena Domini.

Procida, la statua dell'Addolorata durante la processione del Venerdì santo [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Procida, la statua dell’Addolorata durante la processione del Venerdì santo [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
La processione del Venerdì Santo si svolgeva nel borgo di Terra Murata, il resto dell’isola era per più campagna. Dopo circa un secolo, quando il rito penitenziale si trasformò in eccesso di fanatismo con i protagonisti che facevano a gara per chi sanguinava di più procurandosi maggiori ferite, la Chiesa vietò questa pratica, e da allora la processione è diventata simbolica, ovvero gli strumenti utilizzati per la flagellazione vengono portati come simbolo. Alcuni di questi strumenti sono ostentati anche nelle moderne processioni, come un cordone intorno al collo, quel cordone che a Procida in gergo è chiamato “stroppo”. Nella marineria, lo “stroppo” – termine prettamente procidano – è la cima, la corda che si usa per legare il remo allo scalmo della barca. Queste corde si costruivano a Procida e dalle stesse corde con cui si costruivano gli stroppi venivano ricavati i cordoni che si portavano al collo. Simbolo della Congrega dei Bianchi invece è la corona di spine, un tempo vere spine che ferivano il capo dei processionanti, oggi finte spine ricavate dal melograno.

Nella processione simbolica del Venerdì santo si ostentavano su piccole tavole anche altri simboli della Passione, forse dei dadi, il boccale con l’aceto, i chiodi, i martelli. Poi questi misteri sono stati via via soppiantati da vere e proprie statue da portare a spalla, i cosiddetti misteri “fissi”, conservati in chiesa. Quello condotti in processione ancora oggi risalgono agli anni Cinquanta del Novecento: vennero regalati alla Congrega da un procidano che fece fortuna in America, venivano trasportati dai confratelli novizi, mentre i più anziani portavano a spalla la statua dell’Addolorata.

Ai primi del Settecento, la congrega dei Turchini era arrivata a contare circa ottocento confratelli (forse un decimo della popolazione procidana), i misteri fissi non erano più sufficienti per tutti, e quindi si decise di arricchire la processione con nuovi misteri, costruiti di anno in anno, all’inizio piccolini, un metro per tre metri, che potessero entrare nelle chiese mentre si celebrava la cosiddetta messa “secca”, ovvero la messa senza consacrazione eucaristica, che non poteva essere celebrata in quanto il giovedì il Santissimo Sacramento veniva riposto nell’altare della “reposizione” – che allora si chiamava “sepolcro” – e si apriva soltanto la domenica di Pasqua di prima mattina.

La processione del venerdì santo è aperta da una tromba, uno squillo di tromba molto particolare, un grido lacerante che va scendendo, l’opposto di ogni composizione musicale perché le composizioni musicali spesso iniziano in sordina e vanno in crescendo, qui è il contrario, un grido forte all’inizio che va smorzandosi piano piano fino a soffocare nella gola l’ultima nota con il suonatore della tromba ormai esausto. Il priore ci ha raccontato di averla suonata per 33 anni, fino a quando ne ha avuto la forza. Il desiderio di suonarla gli era venuto sin da quando da bambino la sentiva echeggiare tra le colonne e i pilastri della chiesa.

Tornando alla processione del venerdì santo, un tempo essa si snodava per le strade di Procida fino a piazza Olmo e poi tornava indietro, quindi anche chi partecipava attivamente aveva la possibilità di vederla. Ora non è più così, il percorso è a senso unico, i misteri sono diventati molto più grandi e i processionanti attivi non la incrociano più.

Procida, la processione del Venerdì santo [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Procida, la processione del Venerdì santo [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Il pubblico che osservava i misteri, si distraeva via via dal significato religioso dell’evento, perdendosi in commenti ed esclamazioni. Così si decise di aggiungere alla processione un “segno forte” che favorisse un momento di raccoglimento finale e la Congrega dei Turchini pensò di far costruire la statua del Cristo morto per chiudere proprio la processione.

Procida, il trasporto del Cristo morto durante durante la processione del Venerdì santo [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Procida, il trasporto del Cristo morto durante durante la processione del Venerdì santo [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
La statua lignea fu costruita nel 1728 da uno scultore che aveva la sua bottega a Napoli, a San Biagio dei Librai, dove da tempo immemore c’erano i “pastorai” che costruivano i presepi: il suo nome è Carmine Lantriceni, di lui non si sa molto: forse di origine pugliese o molisana perché in quelle due regioni sono presenti diverse sue opere. Il priore ci dice che Lantriceni era “pastoraio”, certamente non dei più costosi, perché la Congrega non poteva permettersi l’intervento di artisti troppo richiesti. Ciò nonostante, il risultato fu strepitoso: questa statua non rappresenta Gesù Cristo, bensì un uomo esausto, frustato, preso a schiaffi, nel momento in cui è stato deposto dalla croce e coricato a terra, ancora con le gambe incrociate, prima che la madre lo prendesse in braccio, nel gesto della celebre Pietà. Il Cristo del Lantriceni ha lo sguardo perso nel vuoto, osservando il naso, la lingua e gli occhi vitrei, spenti, si intuisce la sofferenza del figlio di Dio fattosi uomo, che ha sofferto come un uomo.

Procida, dettaglio della scultura lignea del Cristo morto di Carmine Lantriceni [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Procida, dettaglio della scultura lignea del Cristo morto di Carmine Lantriceni [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Il Lantriceni doveva essere un grande conoscitore dell’anatomia umana: i muscoli sono disegnati alla perfezione, perfino le vene ingrossate, le vene di un uomo che è stato crocifisso, maltrattato, ferito. Guardando il Cristo del Lantriceni non si può non pensare ad altre due opere simili: una è il Cristo di Matteo Bottiglieri, esposto nel Duomo di Capua, simile ma di marmo e leggermente più sollevato di schiena per la presenza di due cuscini (il Cristo del Lantriceni ne ha uno solo, turchese in origine, che rimanda all’abito della confraternita).

Duomo di Capua, il Cristo morto di Matteo Bottiglieri [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Duomo di Capua, il Cristo morto di Matteo Bottiglieri [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Il secondo Cristo che ci torna alla memoria è il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino nella Cappella Sansevero che si pensa possa essere ispirato al Cristo di Procida. Se confrontiamo le date, il Cristo del Bottiglieri è del 1722, quello di Lantriceni è del 1728, mentre quello del Sanmartino è del 1750. Perché il Sanmartino potrebbe essersi ispirato al Cristo di Procida? Perché i procidani quel Cristo il Venerdì Santo lo portano in processione velato e sotto quel velo nero ricamato in oro, sembra che ci sia veramente una persona, come a dire, “viva, viva di carne”. A differenza degli altri due, di marmo, il Cristo ligneo del Lantriceni, meno pesante, era stato pensato sin dall’origine per essere portato in processione.

Oggi il Cristo morto di Procida è conservato in una teca trasparente: nel tempo ha subìto vari deterioramenti a causa dei tarli e dei trasporti nelle processioni. L’alluce destro fu reincollato maldestramente con colle non professionali, Nel corso degli anni finalmente ha subìto due restauri: il primo nel 1990, quando fu portato all’Istituto di Belle Arti a Napoli per un trattamento antitarlo, il secondo nel 2018 quando i fori vennero stuccati e la superficie ridipinta con colori acrilici fedeli agli originali. Un quadratino, lasciano come testimonianza, ci fa vedere come in origine il basamento della statua non fosse nero e dorato, come noi lo vediamo ma fosse di color granito-bordeaux. Anche il guanciale, oggi rosso, in origine era turchino. Durante il restauro, poi, si è scoperto che la statua non è ricavata da un unico pezzo di legno, ma dall’assemblaggio di più pezzi, “incatenati” tra loro per mezzo di ferri ricurvi. A causa del trasporto per mezzo delle maniglie, il basamento negli anni si è inarcato e finalmente è stato appoggiato su una tavola per evitare ulteriori danneggiamenti.

Una leggenda metropolitana narra che il Cristo morto l’avesse costruito un carcerato, un ergastolano… ma sono tutte sciocchezze perché il carcere è stato istituito a Procida nel 1830, cento anni dopo che il Lantriceni l’avesse scolpito. Sembra però che quest’ultimo fosse un violento e che fosse stato in carcere perché aveva tirato un martello a un ragazzo di bottega che aveva sbagliato un bozzetto, da qui forse la fantasia popolare.

E oggi cosa succede? L’8 di aprile vengono commemorati i dolori di Maria, la Madonna viene intronizzata e il Cristo morto spostato ai piedi dell’altare.

Il Venerdì Santo, di mattina verso le cinque, inizia una veglia di preghiera che termina verso le sei e poi le statue del Cristo e della Madonna vengono portate a Terra Murata da dove poi parte la processione dei Misteri.

Procida, processione del Venerdì santo [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Procida, processione del Venerdì santo [Foto: Associazione culturale GoTellGo / Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Alla fine della processione il Cristo e l’Addolorata ritornano a Terra Murata e restano là per la funzione che si svolge il pomeriggio, la cosiddetta “azione liturgica” (messa senza consacrazione), per poi tornare verso sera in Congrega con una Via Crucis dalla Chiesa di S. Michele Arcangeloo. Una volta il Cristo veniva baciato, ma attualmente ciò non è possibile per ragioni sanitarie e quindi la giornata del venerdì finisce con il saluto al Cristo Morto.

[Maria Teresa Natale]

One comment

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.