Se vi capita di andare a Procida, non lasciatevi sfuggire una visita alla chiesa intitolata a San Tommaso d’Aquino, gestita dalla Congrega dei Turchini, al cui interno si conserva la spettacolare scultura lignea settecentesca del Cristo morto di Carmine Lantraceni. Noi abbiamo avuto avuto la fortuna di visitarla con il priore della Congrega, Matteo Germinario, che ci ha raccontato una storia molto interessante.
La chiesa venne intitolata a San Tommaso d’Aquino, uno dei più grandi dottori della Chiesa, per volere dei proprietari, la famiglia Minichini che abitava nei pressi. Ad un certo punto la chiesa doveva essere annessa a un convento per suore di clausura che però non venne mai completato, cosicché nel 1885 il complesso fu acquistato da una Congrega di laici sotto l’invocazione dell’Immacolata Concezione della Beatissima Vergine, istituita nel 1627 nella Chiesa di San Michele Arcangelo a Terra Murata e trasferitasi qui nel 1892. Tale Congrega, nota come Congrega dei Turchini dal manto azzurro della Madonna, nacque in contrapposizione alla tardo-cinquecentesca Congrega dei Bianchi del Santissimo Sacramento, alla quale appartenevano solo nobili, titolati, possidenti, mentre la povera gente non poteva farne parte.
Questa congrega, da quando è nata, ha sempre organizzato la processione del Venerdì Santo. In origine lo faceva in modo penitenziale, con i partecipanti che si autofustigavano, indossavano il cilicio e la corona di spine. Anche la Congrega dei Bianchi organizzava una processione penitenziale, ma lo faceva il Giovedì Santo, perché quella era la congrega del Santissimo Sacramento, e il Santissimo Sacramento si celebra istituzionalmente il Giovedì Santo con la Messa in Coena Domini.
Nella processione simbolica del Venerdì santo si ostentavano su piccole tavole anche altri simboli della Passione, forse dei dadi, il boccale con l’aceto, i chiodi, i martelli. Poi questi misteri sono stati via via soppiantati da vere e proprie statue da portare a spalla, i cosiddetti misteri “fissi”, conservati in chiesa. Quello condotti in processione ancora oggi risalgono agli anni Cinquanta del Novecento: vennero regalati alla Congrega da un procidano che fece fortuna in America, venivano trasportati dai confratelli novizi, mentre i più anziani portavano a spalla la statua dell’Addolorata.
Ai primi del Settecento, la congrega dei Turchini era arrivata a contare circa ottocento confratelli (forse un decimo della popolazione procidana), i misteri fissi non erano più sufficienti per tutti, e quindi si decise di arricchire la processione con nuovi misteri, costruiti di anno in anno, all’inizio piccolini, un metro per tre metri, che potessero entrare nelle chiese mentre si celebrava la cosiddetta messa “secca”, ovvero la messa senza consacrazione eucaristica, che non poteva essere celebrata in quanto il giovedì il Santissimo Sacramento veniva riposto nell’altare della “reposizione” – che allora si chiamava “sepolcro” – e si apriva soltanto la domenica di Pasqua di prima mattina.
La processione del venerdì santo è aperta da una tromba, uno squillo di tromba molto particolare, un grido lacerante che va scendendo, l’opposto di ogni composizione musicale perché le composizioni musicali spesso iniziano in sordina e vanno in crescendo, qui è il contrario, un grido forte all’inizio che va smorzandosi piano piano fino a soffocare nella gola l’ultima nota con il suonatore della tromba ormai esausto. Il priore ci ha raccontato di averla suonata per 33 anni, fino a quando ne ha avuto la forza. Il desiderio di suonarla gli era venuto sin da quando da bambino la sentiva echeggiare tra le colonne e i pilastri della chiesa.
Tornando alla processione del venerdì santo, un tempo essa si snodava per le strade di Procida fino a piazza Olmo e poi tornava indietro, quindi anche chi partecipava attivamente aveva la possibilità di vederla. Ora non è più così, il percorso è a senso unico, i misteri sono diventati molto più grandi e i processionanti attivi non la incrociano più.
Oggi il Cristo morto di Procida è conservato in una teca trasparente: nel tempo ha subìto vari deterioramenti a causa dei tarli e dei trasporti nelle processioni. L’alluce destro fu reincollato maldestramente con colle non professionali, Nel corso degli anni finalmente ha subìto due restauri: il primo nel 1990, quando fu portato all’Istituto di Belle Arti a Napoli per un trattamento antitarlo, il secondo nel 2018 quando i fori vennero stuccati e la superficie ridipinta con colori acrilici fedeli agli originali. Un quadratino, lasciano come testimonianza, ci fa vedere come in origine il basamento della statua non fosse nero e dorato, come noi lo vediamo ma fosse di color granito-bordeaux. Anche il guanciale, oggi rosso, in origine era turchino. Durante il restauro, poi, si è scoperto che la statua non è ricavata da un unico pezzo di legno, ma dall’assemblaggio di più pezzi, “incatenati” tra loro per mezzo di ferri ricurvi. A causa del trasporto per mezzo delle maniglie, il basamento negli anni si è inarcato e finalmente è stato appoggiato su una tavola per evitare ulteriori danneggiamenti.
Una leggenda metropolitana narra che il Cristo morto l’avesse costruito un carcerato, un ergastolano… ma sono tutte sciocchezze perché il carcere è stato istituito a Procida nel 1830, cento anni dopo che il Lantriceni l’avesse scolpito. Sembra però che quest’ultimo fosse un violento e che fosse stato in carcere perché aveva tirato un martello a un ragazzo di bottega che aveva sbagliato un bozzetto, da qui forse la fantasia popolare.
E oggi cosa succede? L’8 di aprile vengono commemorati i dolori di Maria, la Madonna viene intronizzata e il Cristo morto spostato ai piedi dell’altare.
Il Venerdì Santo, di mattina verso le cinque, inizia una veglia di preghiera che termina verso le sei e poi le statue del Cristo e della Madonna vengono portate a Terra Murata da dove poi parte la processione dei Misteri.
[Maria Teresa Natale]