Arrivare a Scampia è toccare con mano una realtà ricca di contrasti. Scendi dai vagoncini corti e arrancanti della metro e a rapirti sono le esuberanti immagini del compianto Felice Pignataro, artista, rivoluzionario, pensatore, animatore culturale in lotta per abbattere le ingiustizie. Il suo sole, sopra un corpo umano ricco di simboli narrativi, ti annuncia che nel quartiere in cerca di riscatto avvertirai sopra ogni cosa l’irradiarsi di un calore unico, la somma di tante energie di chi vuole farcela, al di là di ogni ostacolo o stigma.
E dopo il sole arriva il gelo: militari con mitra spianati presidiano la stazione e ti riportano per un attimo alla cruda realtà: sei a Scampia, una Scampia priva di piazze, se non quella che nell’immaginario collettivo è solo di spaccio. Una parte di città che avrebbe voluto prendersi la rivincita sul vicolo, proponendo insensati, immensi viali che sembrano condurre da nessuna parte. Il senso di marcia lo riacquisti immediatamente alla vista della nuova stazione, su due livelli, inaugurata lo scorso dicembre. Sopra la metro cittadina, sotto la linea arcobaleno che collega all’hinterland.
Uno spazio immenso, ben organizzato, pareti rosso pompeiano, architetture avveniristiche ma tutto fermo, statico, immobile. Ti coglie un attimo di smarrimento: che sia l’ennesima opera inaugurata e mai entrata in funzione? Certo le polemiche seguite all’evento non lasciano ben sperare. Un taglio di nastro in due riprese, regione Campania alle 11, comune di Napoli alle 12, come nelle migliori commedie di Eduardo. Ma è un attimo. Tutto funziona alla perfezione. Riconquisti subito la rotta all’esterno, all’apparire dei volti di Pier Paolo Pasolini e Angela Davis.
Come colonne di un ingresso regale, l’attivista statunitense per i diritti civili e il cantore delle periferie romane immortalati sulle pareti di due palazzi, ti suggeriscono il senso del percorso che ti appresti a fare tra marginalità e rivendicazioni, battaglie e conquiste sociali. Ė il messaggio del “Gridas”, Gruppo RIsveglio dal Sonno, associazione nata nel 1981 su impulso di Pignataro e della compagna Mirella La Magna, di Franco Vicario e altri. Un richiamo al “risveglio delle coscienze”, guida per i cittadini del quartiere a diventare “parte attiva”.
In tale rinascenza morale, civica, culturale, sociale si inquadra il “Carnevale sociale di Scampia”, ideato nell’83 dal poliedrico, prolifico muralista quale segno non solo di rivendicazione, denuncia, riscatto ma come elemento identitario di un quartiere visto dal di fuori in una sola tinta, che per un giorno all’anno si riempie di colori. Talento, aggregazione, creatività e fantasia: la cifra che anima la festa è multiforme. Ed energia, voglia di rinascita, profondità del messaggio, desiderio di riappropriarsi del territorio invadendo le strade.
In questa domenica 3 marzo 2019 ci accompagna nel cammino una band di musicisti appena arrivati col pullman, perché al carnevale sociale ci vengono in tanti, ogni anno di più, da tutta Italia. Il percorso tra le garbate palazzine residenziali, pochi piani e tinte pastello è incoraggiante. Di fronte a un alimentari che accetta “social card” come moneta corrente, appare il tetro cilindro che dovrebbe ospitare la facoltà universitaria di Medicina, un paradosso da queste parti. Insieme a una metro super veloce, servirà a riqualificare, questo è l’intento.
Dopo una veloce visita alla sede del Gridas di via Monterosa, ci immergiamo nel carnevale, tra suoni e colori, al ritmo incessante della Murga, musica di strada uruguaiana che in Argentina ha avuto la sua consacrazione, per poi essere esportata in tutto il mondo. Costumi sfarzosi, suoni, danze sfrenate al ritmo del bombo, il rullante e i piatti. Suoni intensi, ritmi incalzanti, salti, calci in aria e ritorno sul terreno. Senso di liberazione e riappropriazione, con forte connotazione di denuncia sociale. Quest’anno il tema era: “O’ Cantastorie”.
Nessuna allusione al sindaco De Magistris, presente come ogni anno alla kermesse, piuttosto strali contro il governo, con l’immancabile richiamo ai temi sociali più sentiti: il lavoro che manca, le discriminazioni e l’inevitabile invocazione alla solidarietà verso i migranti, la pace, il riscatto sociale. Gradevole percorso in pieno sole, sudori e odori, famiglie assiepate sui risicati terrazzini in piccoli appartamenti di minuscoli edifici. Le vele sembrano lontane, sebbene annunciate da arroganti e ineleganti casermoni di 14 piani.
Incombono, di tanto in tanto, con l’irripetibile profilo e le inenarrabili storie scolpite nell’immaginario collettivo. Sarà per questo che, sul calendario della Polizia 2019 i palazzi appaiono a gennaio, prima immagine e unico sfondo riconoscibile tra gli altri 11 anonimi. E il carnevale avanza, tra viali e palazzi, in un crescendo concluso tra i lotti popolari, con falò finale in piazza, in un tripudio di danze e suoni.
E da un murales un messaggio di speranza: “rind o munn, rind ‘a cap esist semp nu cambiament, ka si trist o si felic color semb ogni mument”.
Trovare un nesso tra tanta gioia di vivere e di sperare e la desolazione delle vele non è facile.
Tracciare in sintesi la storia dell’utopia immaginata da Franz Di Salvo non è facile, si può dire che la realizzazione non corrisponde al progetto originario, che presto delle vele non ne resterà che una. Ci si può chiedere se ciò sia giusto o meno, recriminare sull’occasione persa, le risorse sperperate, le vite consumate. Nell’osservare tanto abbandono, tanto squallore, ripensando al carnevale e alla speranza veicolata da tale messaggio, ti rassicura il fatto che nel Paese esistono forze sane, persone in grado di lottare, gruppi sociali in grado di cambiare.
[Giuseppina Granito]