“Spinaceto, un quartiere costruito di recente. Viene sempre inserito nei discorsi per parlarne male”. Così Nanni Moretti ci accompagna, nel 1993, nella passeggiata estiva in vespa blu in questa avveniristica appendice di città che il regista del film Caro Diario, alla fine del tour riabilita con un consolante: “Beh Spinaceto, pensavo peggio… non è per niente male!”. Da allora si guarda in modo diverso al corposo insediamento a quattro chilometri dall’EUR e uno fuori raccordo. Arrivando qui capisci che il luogo comune che lo accosta ai quartieri di confine non regge. Non è la marginalità la caratteristica che per prima balza agli occhi, sebbene le condizioni dell’isolamento siano state sempre presenti nel tempo. Se è innegabile che un senso di spaesamento ti assalga appena arrivi, è anche vero che, al primo impatto, emergono le caratteristiche contraddittorie del quartiere: piacevole e discutibile, imponente ed essenziale, sinuoso e spigoloso, oscuro e luminoso, curato e degradato sono antinomie che qui convivono alla perfezione.
Ė sabato 7 dicembre (2019), giornata piovosa, livida, in cui i colori del cielo ben si armonizzano con il beton brut – dal francese, cemento grezzo – materiale a vista, segno distintivo dell’architettura brutalista che contraddistingue la maggior parte degli edifici. Nel segno di tali innovative correnti europee, Spinaceto fu progettato negli anni Sessanta grazie alla legge 167, uno dei più importanti programmi di edilizia pubblica della Capitale.
Destinato a 40 mila residenti, nato dall’opera di un pull di architetti di primo piano, tra cui Lucio Barbera capo progetto, poi Piero Moroni, Nicola Di Cagno, Fausto Bettinelli e Dino Di Virgilio Francione, al centro delle zone di Mezzocammino (perché a metà tra Roma e la foce del Tevere) e Tor de’ Cenci, Spinaceto è racchiuso a est dalla via Pontina e a ovest dall’omonima via di Mezzocammino, al centro di una riserva verde che arriva a via Cristoforo Colombo. Il nome deriva dall’antica tenuta preesistente, una zona agricola di oltre 200 ettari frazionata all’inizio del XX secolo in vari fondi soggetti a bonifica nel 1910. I primi nuclei di residenti si stabilirono nell’attigua Tor de’ Cenci come insediamenti abusivi, per poi espandersi nel dopoguerra con programmi di edilizia economica e popolare.
La morfologia del quartiere è caratterizzata da imponenti edifici in linea che affiancano l’asse principale di mobilità, lungo due chilometri e a senso unico. Una spina di cemento e asfalto, un serpentone collegato alle uniche vie d’ingresso e uscita, che rappresenta il cuore del centro abitato con le vie secondarie a fare da comparsa, prive di un preciso ruolo. L’impatto iniziale disorienta. Le dimensioni dei palazzi fuori scala, l’anello del lungo viale d’accesso, l’unico senso di marcia, provocano un senso di disorientamento, una vertigine claustrofobica. Di primo acchito si ha il timore di non arrivare mai al luogo di appuntamento, tale è la vastità degli spazi.
L’insegna della biblioteca comunale intitolata a Pier Paolo Pasolini è il faro della situazione. E non è un caso, non solo per la memoria che rimanda al “cantore delle periferie” ma perché da queste parti è riservata un’attenzione particolare alla scuola e alla cultura. In questo contraddittorio borgo contemporaneo è un gradevole impatto quello con gli imponenti plessi scolastici e il Teatro della Dodicesima, presidi di aggregazione, formazione, creatività e inclusione sociale.
Il liceo scientifico e linguistico Ettore Majorana ci offre i suoi spazi, rivelatori di un fervore e una vivacità che culminano negli scenografici murales degli artisti più apprezzati della contemporaneità. Così Diavù-David Vecchiato, ci accoglie con “l’antimaterico”, ritratto intenso e insieme evanescente del geniale fisico, in un contrasto di tonalità che evoca la misteriosa e mai decifrata sparizione nel 1938 del 31enne rappresentante del gruppo dei “ragazzi di via Panisperna”. Poi Lucamaleonte con una delicata fantasia floreale che rimanda agli spazi inesplorati della mente e ancora, i numeri binari che ricordano gli studi di Fermi e Majorana sulla scissione dell’atomo. Il tutto inserito nel progetto “a.DNA Collective” coordinato da Alessandro Sardella. Dal 1994 il liceo promuove la creatività e l’arte con incontri annuali dedicati al contemporaneo. Tale attività ha avuto una positiva ricaduta con lasciti di artisti grazie a cui è stato realizzato tra il 2006 e il 2007 il “Mu.Di.T.A.C.”, Museo didattico territoriale di arte contemporanea. Lo spazio espositivo situato nei locali dell’Istituto conserva più di 100 opere donate alla scuola da artisti italiani e internazionali; l’area museale comprende inoltre una sezione dedicata all’esposizione di raccolte di fossili e di insetti, insieme a strumentazioni didattiche oggi non più usate che hanno segnato la storia del liceo nei suoi quarant’anni di vita.
Altro punto di forza di Spinaceto, in termini di cultura e aggregazione, è il vicino Teatro della Dodicesima, divenuto ben presto il fulcro di attività creative che hanno assunto, negli anni un respiro ben più ampio del quartiere all’estrema periferia di Roma Sud. Corsi di recitazione, dizione, regia, scrittura scenica, canto, batteria, chitarra, pianoforte, basso, violino, per persone di tutte le età, laboratori per bambini, biblioteca dei piccoli, stagione teatrale, eventi musicali richiamano appassionati perfino dai dintorni ma proprio qui, in questi palazzi privi di colore e di espressione, è nata Roberta Mattei, la Linda di Non essere cattivo, pluripremiato film del 2015 dello scomparso Claudio Caligari. E nel Teatro della Dodicesima, a 12 anni Roberta ha iniziato a recitare proponendo tra le varie rappresentazioni Una vita violenta di Pier Paolo Pasolini e Le strade raccontano: la Resistenza vista attraverso le vie di Spinaceto, molte delle quali intitolate agli eroi di quel drammatico periodo. Viale dei Caduti per la Resistenza e quello per i Caduti nella guerra di Liberazione e ancora, i lunghi assi stradali dedicati agli Eroi di Rodi e Cefalonia sono lì per la memoria passata e per la consapevolezza del presente, per rammentare che i valori in cui si crede vanno sempre difesi.
Durante il nostro cammino notiamo altre presenze significative: il grande commissariato di Polizia, presidio di sicurezza in una zona che in passato fu teatro di numerosi episodi legati allo spaccio di stupefacenti; poi la galleria centrale dei servizi, struttura multi-piano destinata a ospitare attrezzature collettive, posta al centro dell’insediamento residenziale, a costituire una sorta di polo delle attività di quartiere. Viali, palazzi, servizi, cintura verde: tutti spazi ben definiti, in una sapienza distributiva che nelle intenzioni dei progettisti avrebbe dovuto fare di Spinaceto un modello. Come sovente accade però, alle intenzioni seguono azioni che non sempre corrispondono alle prime. Così, ponti, sovrappassi, sottopassi, elementi di raccordo che avrebbero dato un respiro diverso agli immensi spazi, riconnettendo una parte del quartiere all’altra e l’abitato puntiforme al centro polifunzionale non furono mai realizzati.
Spinaceto ha sofferto di altri e ben più incisivi ritardi: le gallerie commerciali Garda 1 e Garda 2 furono realizzate soltanto a partire dagli anni Ottanta con alterne vicende, i trasporti sono sempre stati insufficienti e l’intenzione di prolungare la linea B della metropolitana fino a Tor de’ Cenci è rimasta una vaga promessa.
Sufficiente per conferire alla città satellite l’appellativo di quartiere dormitorio, con tutto ciò che ne consegue. Un’etichetta pesante, che negli anni ha perso significato, all’apparire alla fine degli anni Settanta di centri commerciali, impianti sportivi, hotel e uffici. Ė di questi anni la costruzione della chiesa di San Giovanni Evangelista, di Gaetano Rebecchini e Julio La Fuente, una realizzazione significativa, un segno importante del paesaggio, inspiegabilmente defilata dal resto del quartiere, quasi a volerne sottolineare l’alterità rispetto all’imponente impronta dei palazzi-monstre. Cerchi che si intersecano intorno a una pianta centrale, linee sinuose, dolci, ad abbracciare i fedeli, materiali naturali come il tufo per le pareti, copertura in vetro cemento che lascia fasci di luce penetrare all’interno, fortemente connotato da giochi di quote che conferiscono un’idea di movimento. Una presenza discreta ma significativa, la parrocchia di quartiere con un particolare campanile e un porticato che sembra voler guidare i visitatori nel cammino della fede.
Poi la grande risorsa del verde, una cintura che se valorizzata potrebbe essere l’elemento di ricucitura di un territorio slabbrato. Proviamo un inaspettato piacere nell’attraversare una delle due distese: il parco campagna di Spinaceto – distinto in due parti – che, con quello di Decima Malafede istituito nel 1998 collocato a est della Pontina, rappresenta il polmone del quartiere. Non parliamo di verde di risulta, rubato ai palazzi e improvvisato con qualche aiuola buttata lì, quel verde ipocrita elargito dai costruttori come onere concessorio. Ė evidente che da queste parti la natura è considerata un’importante risorsa, vista la cura con cui sono tenute queste riserve naturali. Verde contro grigio: sicuramente vince il primo dei colori, anche se a partire dagli anni Settanta l’assalto del cemento è stato un pericolo costante. Tre Pini, Mostacciano, Tor de’ Cenci: un dilatarsi dell’insediamento iniziale, un assedio a dispetto dei numerosi ritrovamenti archeologici dell’epoca protostorica, VI secolo a.C. con pregevoli reperti. Tombe a camera, capanne, fattorie e tenute agricole, una cisterna e i resti di bambini e giovani sotto i 35 anni.
Più avanti negli anni, una testimonianza del sistema delle torri difensive intorno Roma nel XVI secolo – comprese nel perimetro di Appia, Laurentina e Ostiense – con Torre Brunori, ormai completamente occultata dalla vegetazione. Memorie cadute nell’oblio cui fa da contraltare una grande conquista: su un’area di 2400 metri quadri, nei pressi di via degli Eroi di Cefalonia, si estendono i resti di un importante complesso archeologico, forse il più rilevante del quadrante. Si tratta della villa suburbana, di presunta proprietà senatoriale sorta al IX miglio dell’antica Laurentina, rinvenuta negli anni Trenta, indagata nuovamente tra il 1982 e il 1983 grazie agli scavi per l’edificazione del quartiere. Il complesso è riferibile al I secolo a.C. con una frequentazione del sito di almeno quattro secoli prima. Si può osservare anche dall’alto, essendo situato sotto un cavalcavia di collegamento con Tor de’ Cenci. Si notano ambienti in opera reticolata e opera vittata e l’abside di una piccola basilica cristiana. Altre strutture appaiono a blocchetti e laterizi e da queste provengono tre sarcofagi, oggi al Museo Nazionale Romano, di sicuro riferiti a un’area cimiteriale. Purtroppo non sono più visibili alcuni pavimenti a mosaico con disegno geometrico bianco-nero pertinenti alle terme del complesso ma si nota un abbeveratoio, a testimonianza del tipo di insediamento suburbano.
La nostra passeggiata non contempla la visita alla villa romana ma osservarla a distanza, fare un raffronto tra l’urbanistica antica e quella attuale è un esercizio impietoso per quest’ultima. E, al pari di numerose storie legate a Spinaceto, è singolare la complessa vicenda legata ai ritrovamenti e alla loro gestione. Dai primi sondaggi degli anni Ottanta, tutto fu lasciato nell’oblio fino al 2008, quando grazie a un finanziamento di 300 mila euro della Regione furono avviate nuove indagini e una bonifica del sito, invaso da oltre due metri di erbe infestanti, rovi, rifiuti ma neanche questo servì a risollevarne le sorti. Il totale, colpevole degrado non si arrestò fino a quando nel 2016 allievi e docenti del liceo Majorana, nell’ambito del progetto del Ministero per i beni e le attività culturali “Adotta un monumento”, recuperarono il complesso garantendone l’apertura una volta l’anno. Encomiabile ma non sufficiente per i cittadini, che attraverso la stampa locale, condussero una battaglia perché questo bene comune, divenuto un simbolo di appartenenza, ritornasse appieno alla collettività. Così, il 21 ottobre 2018 iniziarono le prime aperture straordinarie che culminarono nella definitiva restituzione del bene ai cittadini nel 2019, in occasione del cinquantenario di Spinaceto, che venne festeggiato con tutti i crismi con la villa suburbana al centro dell’interesse generale.
Camminiamo da un bel pezzo, abbiamo sviscerato moltissimi aspetti di questo borgo moderno che continua a rivelarci la sua storia con eventi paradigmatici dell’ossessione edificatoria che pervase Roma e l’Italia dagli anni Settanta. Introdotti da un degradato ambiente ad anfiteatro – tentativo abortito di piazza – arriviamo nella spina centrale, contenitore di servizi pubblici e spazi commerciali di cui vediamo solo serrande abbassate e graffiti privi di senso dovunque. La storia si ripete come in altre periferie: progetti nati e mai portati a compimento, conflitti di competenze e un inspiegabile disimpegno da parte di chi dovrebbe farsi carico dei problemi. Così la galleria è un contenitore vuoto, ricca soltanto dell’energia e della tenacia degli attivisti del centro sociale “Auro e Marco”, cui nel 2016 fu intimato lo sgombero dei locali – per la delibera comunale 140 del 2015 che allontanava centinaia di realtà sociali romane dalle sedi loro affidate anni prima – che invece resteranno lì grazie al ricorso vinto nel dicembre 2019. Le assurdità della mala amministrazione non si esauriscono con la galleria abbandonata.
Poco più avanti, dopo aver attraversato il colorato mercato coperto di quartiere, con prezzi competitivi e troppe serrande abbassate, ci troviamo al cospetto di quello che viene definito “il più grande scandalo urbanistico/sportivo di Roma Sud” e Calatrava ci perdoni. La città del rugby – moderna utopia maturata nel 1995 nell’ottimistico contesto dei cosiddetti “Punti verdi qualità” – in questo caso di verde ne ha visto ben poco e di qualità nessuna. Il paradosso è che, nonostante il campo fosse di misure notevolmente inferiori a quelle regolamentari, causa pini secolari intoccabili, l’impianto fu completato con costi lievitati fino ai 32 milioni. La piccola e sconosciuta società “Iceland 90”, vincitrice del bando, pensò in grande. Nei sogni degli imprenditori poi falliti altro che rugby: c’erano piscine, centro benessere, sauna, parcheggio sotterraneo, negozi, ludoteca e una pista di pattinaggio sul ghiaccio unica a Roma. Niente di tutto questo. Dell’agognata cittadella resta solo lo scheletro dello stadio depredato, occupato da sbandati e poco di buono che ben presto organizzarono un presunto commercio di posti letto. E 32 milioni di fidejussione (dei 550 totali) che il comune stipulò con le banche.
Pochi passi e lo scenario cambia. Ci troviamo di fronte a un altro mirabile esempio di architettura civile che è il Liceo classico Plauto. Affidato al team “Stass Architetti Associati” guidato da Vittorio De Feo, l’edificio confinante con la Pontina ad est e via Renzini a ovest, ispirato alla corrente costruttivista russa, è composto da due volumi paralleli: il primo blocco con l’area didattica, l’altro con spazi dedicati ai servizi e aree culturali, aperte alla collettività. Questa l’intuizione dell’architetto: far dialogare l’istituto con il contesto, attraverso segni inequivocabili nella progettazione. Così lo spazio verde che separa i due volumi ed enfatizza l’integrazione tra scuola e paesaggio. E le finestre a nastro che immettono luce naturale nelle aule, l’anfiteatro e i campetti, il vetro cemento che illumina gli ambienti, il rivestimento esterno color mattone ripreso all’interno. Il liceo come polo di attrazione per il quartiere. Uno dei tanti, considerata la vivacità dei residenti e il loro desiderio di socialità.
Come Nanni Moretti anche noi, alla fine del cammino potremmo affermare che “Spinaceto non è per niente male!“. Una dignità dell’abitare riconquistata negli anni – se mai fosse andata perduta – grazie alla volontà di aggregazione, a esperimenti di socialità, alla tutela della memoria, al valore della storia, alla salvaguardia del proprio ambiente. Ci siamo accorti però che insieme agli eroi di guerra, alcune strade qui sono intitolate ai grandi nomi della commedia all’italiana del dopoguerra: Eduardo e Peppino De Filippo, Renato Rascel, Aldo Fabrizi. Ecco, sarebbe un giusto tributo immaginare una commedia dolce-amara su Spinaceto, paradigmatica di ciò che accade in tutte le periferie venute su negli anni del “Terzo Sacco di Roma”. Utopie urbanistiche con corollario di progetti da archistar, che si dissolvono attraverso impensabili miserie umane. Così, quella Roma fuori raccordo o meglio, fuori “ZTL”, assume le sembianze di una Spinaceto all’ennesima potenza.
[Giuseppina Granito]
Architetto Fausto Battimelli e non Fausto Bettinelli.