Una passeggiata a Canino sulle tracce dei Farnese e dei Bonaparte

A pochi chilometri da Vulci si trova il borgo di Canino, ricco di storia e luoghi da visitare. Posizionato a 230 metri sul livello del mare, il suo territorio digrada verso la costa, bagnato dalle acque del fiume Fiora e del torrente Timone.

Circa il nome, una leggenda, ormai sfatata, tramanda che il nome originario del borgo fosse “Carino”, trasformato poi in “Canino” per il carattere iroso degli abitanti. L’ipotesi più accreditata, invece, lega il toponimo alla Gens Caninia, importante famiglia dell’antica Vulci. Fatto sta che lo stemma cittadino raffigura proprio un cane, un tempo corrente, di recente ridisegnato e trasformato in rampante. 

Le origini di Canino sono ancora poco chiare. Se in epoca etrusca si era sviluppata come villaggio agricolo di riferimento alla vicina Vulci, è probabile che nei secoli, con il declino di quest’ultima. prima per mano dei romani e poi dei saraceni, Canino si sia progressivamente espansa, essendo ubicata in un territorio più sicuro.

Canino va anche ricordata perché diede i natali ad Alessandro Farnese, futuro papa Paolo III (il pontefice che commissionò il Giudizio Universale a Michelangelo nel 1534 e che diede avvio al Concilio di Trento nel 1545). Il feudo fu concesso ai Farnese nel 1353 dal cardinale spagnolo Egidio Albornoz che li volle premiare per i meriti militari e costoro ne rimasero in possesso  fino al 1649, anno della distruzione di Castro ad opera delle truppe papaline. Da allora il feudo tornò a far parte dello Stato della Chiesa fino al 1808 quando Canino e Musignano furono venduti da papa Pio VII Chiaramonti a Luciano Bonaparte, fratello di Napoleone.

Per esplorare Canino e gli immediati dintorni, serve almeno una giornata. Vi consigliamo di iniziare la passeggiata da piazzale San Francesco d’Assisi (con ampio parcheggio), imboccando viale Giuseppe Garibaldi in direzione del centro storico.

Quasi subito, sulla sinistra, noterete la facciata della Cappella romanica dell’Annunziata, fatta costruire dai caninesi nel XIII secolo in occasione di una pestilenza. Secondo la tradizione San Francesco sostò proprio qui durante il suo itinerario in Tuscia.

La cappella dell'Annunziata e il Monumento ai Caduti [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
La cappella dell’Annunziata e il Monumento ai Caduti [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Di fronte al portale, il monumento ai caduti è caratterizzato da una serie di aquile bronzee.

Da qui si accede, sulla sinistra, all’ex Complesso conventuale di San Francesco. Il convento e l’annessa chiesa furono costruiti grazie al contributo di Gabriele Francesco Farnese (1420-1475) e degli abitanti di Canino e fino al 1886 appartennero ai frati Minori Osservanti.

Chiostro esterno del Convento di San Francesco [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiostro esterno del Convento di San Francesco [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Il primo chiostro conserva numerose lunette dipinte con le storie di S. Antonio Abate, eremita egiziano vissuto a cavallo tra III e IV secolo e considerato il primo abate e fondatore del monachesimo cristiano.

Lunette con le storie di S. Antonio Abate [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Lunette con le storie di S. Antonio Abate [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Dal primo chiostro si entra nella chiesa intitolata alla Vergine Immacolata. A navata unica, necessiterebbe di un urgente intervento di restauro soprattutto nella struttura lignea in controfacciata. Veri capolavori sono i dipinti della prima cappella sulla destra: in alto San Girolamo inginocchiato, in basso una toccante Pietà, attribuita ad Antonio del Massaro detto Pastura (1450 ca./ ante 1516),  pittore viterbese che collaborò a lungo con il Perugino e con il Pinturicchio. Nei personaggi raffigurati potete riconoscere il Cristo, la Madonna, Maddalena e San Giovanni Evangelista.

Cappella della Chiesa della Vergine Immacolata con S. Girolamo e la Pietà, attribuita ad Antonio del Massaro detto Pastura [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Cappella della Chiesa della Vergine Immacolata con S. Girolamo e la Pietà, attribuita ad Antonio del Massaro detto Pastura [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Il convento, trasformato a seguito dell’unità d’Italia in ospedale cittadino, oggi ospita il Museo della ricerca scientifica di Vulci che ho avuto modo di apprezzare grazie alla cortesia dell’assessore alla cultura e alle attività produttive Davide Ricci, il quale gentilmente ci ha fatto da cicerone nel complesso museale.

Il chiostro interno, attualmente in restauro, conserva lungo tutte le pareti le settecentesche storie di San Francesco, dipinte nel 1726 e corredate di didascalie originali che descrivono i singoli episodi della sua vita.

Chiostro interno dell'ex Convento di San Francesco con le lunette che raccontano le storie del santo [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiostro interno dell’ex Convento di San Francesco con le lunette che raccontano le storie del santo [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Soffermatevi di fronte alla Crocifissione con il santo in adorazione sotto la croce e cercate lo stemma con le tre pignatte dei Pignatelli, famiglia che ebbe anche un papa, Innocenzo XII (1615-1700).

Chiostro interno dell'ex Convento di San Francesco: S. Francesco inginocchiato presso il Crocifisso [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Chiostro interno dell’ex Convento di San Francesco: S. Francesco inginocchiato presso il Crocifisso [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Una sala al piano terra conserva un soffitto decorato ai primi del Cinquecento da Monaldo Trofi detto il Truffetta con i quattro Evangelisti e affreschi alle pareti con Cristo che porta la croce sul Monte Calvario e la sua Deposizione. 

Sala dell'ex Convento di San Francesco con affreschi cinquecenteschi [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Sala dell’ex Convento di San Francesco con affreschi cinquecenteschi [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Al centro del pavimento un’apertura quadrata chiusa da vetro consentiva l’accesso ai resti dell’antico ossario del convento. Aiutatevi con la torcia del telefono per illuminare il recesso.

L'ossario dell'ex Convento di San Francesco [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
L’ossario dell’ex Convento di San Francesco [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Il museo è ricco di reperti provenienti dal territorio e allestiti in modo da attirare l’interesse del visitatore: dal deposito votivo di Banditella al corredo della Tomba del Delfino nella necropoli di Ponte Rotto, alla Tomba di Tarnas o dei Tori. Quest’ultima, individuata già violata nella stessa necropoli nel 1889, ha restituito comunque dieci sarcofagi, uno dei quali, alloggiato nella camera di fondo, era appoggiato su due blocchi di nenfro scolpiti in forma di gigantesche teste di toro. Il nenfro è una roccia tufacea di origine vulcanica, tipica dell’area laziale, spesso utilizzata dagli Etruschi in architettura e scultura.

Museo della Ricerca scientifica di Vulci: gigantesca protome taurina in nenfro [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Museo della Ricerca scientifica di Vulci: gigantesca protome taurina in nenfro [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Prima di lasciare il museo, l’Assessore ci mostra orgogliosamente la ricostruzione del vestibolo della Tomba François con la riproduzione delle pitture parietali a grandezza naturale, realizzata in PVC, sulla base dei disegni dal vero curati dall’artista archeologo Carlo Ruspi nel 1862  per il Museo Gregoriano Etrusco, prima del loro distacco. 

Il sepolcro ipogeo, risalente al IV secolo a.C. e costituito da sette camere disposte attorno a un atrio e un tablino, venne scoperto nel 1857 dall’archeologo fiorentino Alessandro François nella necropoli di Ponte Rotto; apparteneva a una delle più importanti famiglie aristocratiche di Vulci, i Saties. Purtroppo, nel 1863 il principe Alessandro Torlonia (1800-1886)  ordinò di staccare gli affreschi dalle pareti e di trasportarli nella sua residenza romana alla Lungara e poi trasferiti a Villa Albani, dove ancora si trovano e sono visibili solo in occasioni particolari. Nel museo caninese, si possono osservare con attenzione le diverse scene relative al cicli troiano e tebano della mitologia greca e alla storia eroica locale: Achille, tra le divinità etrusche degli inferi Vanth e Charun, che sacrifica dei prigionieri troiani per onorare Patroclo ucciso da Ettore; le vittorie dei vulcenti contro le popolazioni limitrofe, dove vediamo anche un ritratto di Mastarna, divenuto poi re di Roma con il nome di Servio Tullio; un affresco con la raffigurazione di Vel Satiee, forse il committente della tomba, raffigurato nel momento in cui sta per trarre gli auspici dal volo di un uccello.

Museo della Ricerca scientifica di Vulci: riproduzioni di affreschi della Tomba François [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Museo della Ricerca scientifica di Vulci: riproduzioni di affreschi della Tomba François [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
All’uscita del Museo riprendiamo viale Giuseppe Garibaldi, in direzione di corso Giacomo Matteotti. Giunti a piazza Valentini, ombreggiata da due magnifici cedri del Libano, troviamo il Teatro comunale, costruito a partire dal 1889 e quasi di fronte la settecentesca Chiesa della Collegiata dei SS. Giovanni e Andrea al cui interno vale assolutamente una sosta la Cappella Bonaparte (il cancello è chiuso, ma lo potete aprire, avendo cura di richiuderlo al termine della visita). 

Dovete sapere che Luciano Bonaparte (Ajaccio, 1775 – Viterbo, 1840), terzo figlio di Carlo Maria Bonaparte e Maria Letizia Ramolino, nonché fratello di Napoleone, fu principe di Canino e Musignano dal 1808 fino alla morte. Come mai vi chiederete?

Dal carattere deciso, in gioventù Luciano aveva sostenuto Robespierre, nel 1799 aveva preso parte attiva al colpo di stato del 18 Brumaio che pose fine alla Rivoluzione francese con l’istituzione del Consolato, nello stesso anno Napoleone lo aveva proclamato prima ministro dell’Interno e poi ambasciatore in Spagna con l’obiettivo di rinsaldare i rapporti tra i due Stati. Ma i rapporti tra i due fratelli non tardarono a raffreddarsi sia per diverse vedute politiche sia per le scelte sentimentali di Luciano.

A soli 19 anni, Luciano aveva sposato la ventitreenne Christine Boyer (1771-1800), che però morì sei anni dopo, lasciandogli due figlie: Carlotta e Cristina. Nel 1803, aveva conosciuto a Parigi Alexandrine de Bleschamps, già vedova e madre di una figlia pur avendo solo 24 anni. Dopo aver dato alla luce il primo figlio, noto come Carlo Luciano, Alexandrine e Luciano si sposarono prima con rito religioso e poi civile. Solo allora la famiglia Bonaparte fu messa a parte del gioioso evento, ma Napoleone non approvò mai la scelta del fratello minore, per il quale avrebbe preferito un matrimonio politico. E così Luciano, disapprovando a sua volta le aspirazioni dittatoriali di Napoleone, lasciò la Francia per stabilirsi con la famiglia a Roma, capitale di uno Stato pontificio sempre più arretrato e anacronistico. Nel 1808, trentatreenne, acquistò dalla Reverenda Camera apostolica, alla cifra di 100.000 scudi romani, l’isolato e malarico feudo di Canino, la qual cosa gli consentì di essere accettato a pieno diritto tra i membri dell’aristocrazia romana. Del resto la transazione fu una boccata d’ossigeno anche per le finanze pontificie, vessate dai debiti.

Ma Luciano non poté godere subito dei privilegi acquisti: l’anno successivo, infatti, i territori dello Stato pontificio furono annessi alla Francia ma, essendo risultati infruttuosi i tentativi della madre di far riappacificare i due fratelli, egli decise di emigrare negli Stati Uniti d’America. Catturato dagli inglesi mentre viaggiava con tutta la famiglia a bordo di un brigantino, poté tornare a Roma solo nel 1814 a seguito dell’esilio di Napoleone all’Isola d’Elba. Poco prima della definitiva sconfitta di Waterloo, i due fratelli si erano riavvicinati e Luciano aveva supportato Napoleone fino alla restaurazione borbonica. Grazie alle sue doti e al suo denaro, era riuscito a farsi proclamare “Principe di Canino” da papa Pio VII Chiaramonti nel 1814, “Principe di Musignano” da Leone XII della Genga nel 1824 e “Principe Bonaparte” da papa Gregorio XVI Cappellari nel 1837. Con Alexandrine, che gli sopravviverà, mise al mondo dieci figli, sei maschi e quattro femmine.

Le esigenze di una vita sfarzosa e di una famiglia numerosa provocarono un grosso dissesto finanziario nelle casse del principe plurititolato: non sarebbero bastate la vendita di Palazzo Nuňez a Roma e della Villa La Rufinella a Frascati, né la solidarietà di uno zio cardinale e del fratello maggiore, a risanare il patrimonio se non fosse occorso un fatto nuovo che caratterizzò l’ultima fase della vita di Luciano.

A seguito dei primi scavi di Vulci nel 1828 per opera di Vincenco Campanari, Alexandrine e Luciano iniziarono a interessarsi all’archeologia. Proprietario di ampi latifondi, Luciano portò alla luce i resti di alcune necropoli come la Cuccumella e la Cuccumelletta che vennero depredate delle loro ricchezze per alimentare il mercato internazionale delle antichità, rivolto a collezionisti privati e musei internazionali, in un’epoca nella quale non esistevano ancora leggi di tutela. Il principe tombarolo attivò una vera e propria industria degli scavi, finalizzata soprattutto al recupero dei vasi dipinti, a scapito del vasellame meno pregiato, distrutto per evitare cali di prezzo. A partire da allora, si diffuse in tutta Europa, la moda dell'”etruscomanania”.

Luciano morì a Viterbo il 29 giugno 1840 all’età di 65 anni. Ma neanche da morto, il corso poteva riposare in pace. Infatti nel 1853 il suo primogenito Carlo Luciano, oberato di debiti, vendette titoli, diritti onorifici e perfino la cappella funebre voluta da Alexandrine a Don Alessandro Torlonia. Ostinata, Alexandrine riuscì a traslare le ceneri in una nuova cappella gentilizia nella stessa Collegiata: qui, oggi, potete ammirare il  Monumento sepolcrale del principe Luciano (1846), realizzato dal fiorentino Luigi Pampaloni (1791–1847): sul bassorilievo, in stile neoclassico, si riconosce Luciano sul letto di morte, la moglie inginocchiata al suo fianco e quattro figure simboleggianti le virtù del principe. Le spoglie di Alexandrine, morta di colera a Senigallia, riposano dal 1855 a fianco di quelle del marito.

Nella cappella potrete ammirare anche il sarcofago con una statua in memoria della prima moglie Christine Boyer e il monumento funerario del padre, Carlo Bonaparte, realizzati da Massimiliano Laboureur (1767-1861), contemporaneo di Thorwaldsen e Canova e docente di scultura assieme a loro, presso la Pontificia Accademia di San Luca; inoltre potrete osservare l’altorilievo raffigurante un angelo che solleva un bimbo in memoria del figlio Giuseppe, morto poco dopo la nascita, attribuito alla scuola di Canova. 

Cappella funeraria della famiglia di Luciano Bonaparte [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Cappella funeraria della famiglia di Luciano Bonaparte [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Lasciata la Collegiata, proseguiamo fino a piazza Costantino De Andreis, al centro della quale campeggia la dodecagonale fontana in travertino di epoca farnesiana, attribuita a Jacopo Barozzi da Vignola. Su ognuno dei lati sono scolpiti trofei militari, stemmi gentilizi dei Farnese e lo stemma della città di Canino.

Fontana del Vignola [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Fontana del Vignola [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Proseguiamo lungo via Cavour fino a piazza Vittorio Emanuele, l’antica piazza del mercato, su cui affaccia Palazzo Miccinelli, dal nome di un ufficiale dell’esercito napoleonico: su uno degli architravi delle finestre soffermatevi a leggere la scritta Favente Deo Invidia Repulsa (grazie al favore di Dio, l’invidia fu respinta). Avvicinatevi quindi all’ottocentesca Fontana del Cane col simbolo cittadino.

Fontana del Cane [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Fontana del Cane [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Su una parete della piazza compare un altro stemma di Canino che sovrasta una lastra in peperino con la scritta “È proibito di tenere cavalli e carretti nelle piazze e vie pubbliche”. 

Targa con divieto di circolazione per cavalli e carretti [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Targa con divieto di circolazione per cavalli e carretti [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Rechiamoci quindi in piazza Mazzini (un tempo piazza Rocca), il cui antico toponimo era Castelvecchio, il primo nucleo di Canino. Immaginiamo un luogo fortificato in altura con un grande cortile munito di torri, all’interno di una delle quali viveva il signore con la sua famiglia. Luciano Bonaparte fece demolire tutto il complesso, che includeva anche una chiesa intitolata a S. Andrea, per ricavarne una piazza. In occasione di scavi realizzati alcuni anni fa, sono emersi resti delle antiche strutture e di butti – in origine forse silos per granaglie, trasformati poi in depositi di immondizie – che hanno restituito resti di ossa, di cibo, frammenti ceramici, metalli, monete, vetri. Se ne può vedere una selezione nel Museo della ricerca scientifica di Vulci.

Anche i dintorni di Canino offrono spunti per piacevoli passeggiate a piedi, come l’itinerario alla scoperta dei resti del castello medievale e dell’insediamento rupestre di Castellardo, a circa 240 metri s.l.m., lungo un diverticolo che metteva in comunicazione le Via Cassia e Clodia presso il Fosso Timone. Gli studiosi fanno risalire il castello al X secolo, anche se secondo alcuni documenti, questo territorio avrebbe visto lo stanziamento dei Longobardi, attestati tra Bolsena e il mare nel VII secolo. Esplorando le rovine, possiamo riconoscere i resti delle mura e delle porte che conducevano alla rocca dove viveva il dominum. La scarsezza di feritoie e la mancanza di merli fa pensare che la difesa fosse piombante, con gli assediati intenti a far cadere dall’alto liquidi bollenti e pietre sugli assedianti. 

Mura di Castellardo [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Mura di Castellardo [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Tutt’intorno alla rocca si notano edifici, cisterne, case in grotta con nicchie, ripiani, forni, silos, forse un impianto per la pigiatura dell’una, ricavati nel tufo. Oggi tutto è avvolto nel silenzio, ma chiudendo gli occhi possiamo provare a immaginare un’epoca lontana quando le popolazioni locali frequentavano l’insediamento, forse non stabilmente ma in caso di pericolo. 

Si sa per certo che Castellardo appartenne sia agli Aldobrandeschi sia agli Orsini e che nel 1459 fu distrutto dagli abitanti di Canino per evitare che diventasse un avamposto del ducato di Castro, non soggetto ai Farnese. Va al Gruppo Archeologico Romano il merito di aver fatto conoscere questo luogo a seguito di scavi effettuati negli anni 2002 e 2003.

Percorsi e ambienti ipogei presso Castellardo [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Percorsi e ambienti ipogei presso Castellardo [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Poco distante da Castellardo, non mancate di fare una sosta alla cascata del Pellico sul laghetto lungo il torrente Timone. Fiancheggiata da una vegetazione selvaggia e rigogliosa abbarbicata su rocce basaltiche, venne sfruttata per il funzionamento della vicina ferriera, ormai in rovina. La presenza di un forno fusorio, di proprietà della Reverenda Camera Apostolica è attestata fin dal Seicento. Quando Luciano Bonaparte acquisì il feudo di Canino, si ritrovò a doversi occupare anche della ferriera presso la quale si produceva il ferraccio, ovvero la ghisa, con materie prime provenienti dall’isola d’Elba. Del resto Luciano fu un importante imprenditore del ferro, attivo anche a Tivoli e Sutri. Quando il feudo di Canino venne ceduto da Carlo Bonaparte, figlio di Luciano, ai duchi Torlonia, questi ultimi trasformarono il complesso in un mulino (freccia rossa in foto) per la lavorazione delle olive e del grano, in funzione fino ai primi del Novecento. Oggi tutta la struttura, acquisita dalla famiglia Ricci nel 1955, è inutilizzata e fatiscente.

Cascata del Pellico [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Cascata del Pellico [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
A proposito di olive, nel territorio di Canino sono presenti numerosi uliveti della varietà Canino, che ben resiste alla variabilità del terreno, alla fiumaggine e al vento. Essendo autosterile, viene impollinata con altre varietà: il Leccino, il Pendolino, il Maurino e il Frantoio. Dalla mescolanza di queste olive, si ricava un pregiato e profumato olio d’oliva che si fregia del marchio D.O.P. 

Uliveti di Canino [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Uliveti di Canino [Foto: Maria Teresa Natale, CC BY NC SA]
Ogni anno, in occasione della Festa dell’Immacolata il comune organizza la Sagra dell’oliva di Canino. Istituita nel 1939, questa manifestazione di più giorni attrae molti visitatori che possono confrontarsi con le tradizioni storiche, culturali e gastronomiche del territorio. Quando la raccolta delle olive veniva effettuata manualmente, l’8 dicembre rappresentava il culmine della raccolta e della produzione, oggi, con la meccanizzazione, ai primi di dicembre la raccolta è ormai agli sgoccioli, ma la tradizione di organizzare la sagra nei giorni dell’Immacolata si è conservata.

La coltivazione delle olive è attestata nel territorio già in epoca molto antica: lo sappiamo grazie ai contesti funerari risalenti ai secoli VII-III a.C. che hanno restituito balsamari e porta profumi che potevano contenere unguenti ed essenze profumate realizzate anche con l’olio di oliva, utilizzati nei rituali di purificazione dei cadaveri o considerati come beni indispensabili ai defunti per la sopravvivenza nelle tombe.

È molto probabile che le tecniche di coltivazione degli ulivi, come anche quelle relative alla lavorazione/conservazione delle olive siano state importate dai greci: non dimentichiamo che greci ed etruschi erano partner privilegiati e che in etrusco pianta di ulivo si dice elaia mentre olio si traduce con eleiva, ambedue termini derivanti dal greco. Con l’arrivo dei romani, la produzione locale si è certamente sviluppata e in certo qual modo “meccanizzata”: si pensi ad esempio alla produzione industriale di lucerne a stampo, che producevano luce attraverso l’accensione di uno stoppino parzialmente immerso nell’olio che agiva da combustibile.

[Maria Teresa Natale]

 

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