Il pugile ferito #Narrastoriedamuseo

Capitolo 1

I secolo a. C., Grecia

Roma, Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo, Pugile in riposo [Foto: Wikimedia Commons, CC BY SA 4.0 International, by Livioandronico2013]
Roma, Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo, Pugile in riposo
Le abili mani dello scultore lavoravano l’argilla con maestria quelli che erano gli ultimi ritocchi di un volto stanco, deturpato dai colpi infertigli.
Una volta conclusa l’anima in argilla la ricoprì, da manuale, con un sottile strato di cera d’api, modellandolo con cura, e armandosi di pazienza quando toccò ai riccioli della folta barba. Poco altro tempo e avrebbe ultimato la sua opera.
Era arrivato il momento di compiere il passaggio della fusione a cera persa, e, come sempre, avrebbe avuto bisogno dell’ausilio dei suoi assistenti.
Essi raggiunsero quindi lo scultore e ricoprirono attentamente, con uno spesso strato di gesso, i pezzi da assemblare insieme una volta terminato il complicato lavoro: non avrebbero potuto permettersi alcun errore, sarebbe costato loro ricominciare da capo l’intera opera.
Mentre il gesso aderiva alla forma, da un foro colava il metallo fuso, da un altro fuoriusciva la cera oramai liquefatta dal calore, e un terzo foro occorreva per lo sfiato dei vapori.
Il bronzo fuso era stato colato, tutta la cera era fuoriuscita e il metallo, lentamente, si era raffreddato.
Infine, i singoli pezzi vennero liberati dallo stampo di gesso e saldati.
Agli uomini non rimase quindi che pulire il tutto dalle impurità.

Capitolo 2

1885, Colle Quirinale, area del Convento di San Silvestro

 Gli scavi procedevano da alcune ore senza aver portato alla luce ancora nulla.
“Maestro Lanciani”, la voce di Guglielmo Aldrighetti richiamò il ricercatore, che intento a scavare alzò lo sguardo e, accorgendosi della presenza del suo collega a un paio di metri da lui, drizzò la schiena sorreggendosi sulla vanga a causa di un breve capogiro.
“Mi dica, Aldrighetti” rispose, stanco. Nonostante la sua avanzata età, Rodolfo Lanciani era un uomo estremamente ostinato e stakanovista, disposto a sacrificare tutte le sue forze pur di portare a termine il proprio lavoro.
“Io e la squadra pensavamo di prenderci una breve pausa dagli scavi, per rimetterci in forze. Vi unite a noi?”
Lanciani a quel punto, in tono secco e severo rispose: “Lei mi conosce, Aldrighetti; sa bene che durante il lavoro non mi concedo pause. Voi andate pure, io procederò con gli scavi.”
Aldrighetti non replicò. Si aspettava questa risposta dal suo superiore: era un uomo di vecchio stampo ed era già un miracolo che non avesse iniziato con le sue prediche sull’importanza del lavoro come priorità assoluta. Doveva essere davvero stanco se questa volta non si era lasciato andare alle sue ostentazioni in merito.
Senza dire nulla, si congedò con un cenno del capo.
Rimasto solo, Lanciani riprese gli scavi.
Dopo una manciata di minuti, qualcosa nel terreno catturò la sua attenzione.

Capitolo 3

I secolo a.C., Grecia

Lo scultore osservava la sua opera con fierezza e già dentro di lui sentiva smuoversi i ricordi di un passato pieno di dolore e sofferenza, come se l’opera fosse la rappresentazione del suo vissuto, come se parlasse al suo posto rimanendo muta, facendo trasparire tutto ciò che a parole non avrebbe mai potuto spiegare; la perdita della donna che gli donava amore come nessuno aveva mai fatto, alla quale doveva tutto. Il rimorso lo tormentava da anni, e non avrebbe mai smesso. In fondo, era la giusta condanna per non essere riuscito a proteggerla. Era colpa sua. Era colpa sua se quella sera, quella dannata sera, dei briganti da quattro soldi si erano sporcati le mani di sangue, strappandole la vita per impadronirsi dei pochi averi in loro possesso. Lei voleva solo difendersi, ma nella colluttazione ebbe la peggio, urtando la testa contro un masso, che pose fine alla sua giovane vita.
Lui si sentiva ancora colpevole per non aver lottato abbastanza.
Non avrebbe mai potuto perdonarsi per l’accaduto.

Capitolo 4

1885, Colle Quirinale, Roma, area del Convento di San Silvestro

 “Aldrighetti!” chiamò l’uomo, facendo cenno al collega, distante una decina di metri, di avvicinarsi.
“Aldrighetti, vieni e porta tutta la squadra. Qui c’è qualcosa!”
Aldrighetti e gli altri colleghi si avvicinarono, incuriositi.
Lì, a circa sei metri di profondità, era interrato quello che sembrava un reperto di un’antica statua.
La squadra non riuscì a frenare l’entusiasmo e si mise subito al lavoro per riportare alla luce quanto prima quei resti per cui avevano lavorato tutti quei mesi.
Man mano che procedevano con gli scavi presero coscienza di ciò che avevano sotto le mani: molto più di un singolo frammento della scultura, molto probabilmente la scultura intera, o almeno era ciò che speravano.
Le ore passavano, gli scavi procedevano senza sosta, senza rendersene conto arrivò l’alba ed è in quel momento che con meraviglia si ritrovarono davanti a un’opera raffigurante un atleta semi-barbaro, un pugile. Era stanco, interamente coperto da ferite.
Ogni componente della squadra iniziò, dentro di sé, a fare congetture su cosa potesse rappresentare, ma ben presto avrebbero proceduto all’analisi effettiva e alla datazione.
“È attribuita a Lisippo, uno scultore greco del quarto secolo avanti Cristo.” esordì Lanciani.
“Potrebbe effettivamente rappresentare un pugile dopo un combattimento, o nascondere un significato figurato, come ad esempio delle ferite interiori che l’artista ha espresso attraverso un pugile che dopo aver combattuto, nonostante le molte ferite, si rialza e continua a lottare, con lo scopo di vincere la sua battaglia. Forse lo scultore ha usato la metafora del pugile per raccontare il vissuto di qualcuno – o di se stesso – che si è rialzato dopo aver toccato il fondo. Capite cosa voglio dire? Condividete?”
“Maestro, non credete che l’ipotesi della metafora sia una congettura piuttosto insolita per l’epoca?” domandò uno degli operai.
“Probabilmente hai ragione tu, ma l’espressività che trasuda quest’opera cela qualcosa, a parer mio, di molto più profondo. Forse era proprio questo l’intento dell’artista: far sì che ognuno, in base al proprio passato, ne tragga la propria conclusione.”

Capitolo 5

I secolo a.C., Grecia

“Non è la cosa più bella che tu abbia mai visto, Alexandre?” chiese Lisippo all’amico e, consapevole che il suo stato di salute non gli avrebbe permesso di vivere ancora a lungo, aggiunse: “Voglio che alla mia morte tu, amico mio, faccia in modo che possano godere del suo splendore, perché l’arte non si limiti ad essere per pochi eletti, affinché tutti coloro che avranno modo di guardarla vi trovino conforto e solidarietà.”
“Le tue parole e il tuo gesto ti fanno onore, Lisippo. Sta pur certo che non mancherò al tuo volere.”

Capitolo 6

1885, Colle Quirinale, Roma, area del Convento di San Silvestro

 “Ho sperimentato una sorpresa dopo l’altra” affermò Rodolfo Lanciani alla stampa “Ho talvolta e per lo più inaspettatamente, incontrato reali capolavori ma non ho mai vissuto un’emozione così straordinaria come quella creata dalla vista di questo magnifico esemplare di atleta semi-barbaro, uscente lentamente dal terreno come se si svegliasse da un lungo sonno dopo i suoi valorosi combattimenti.”
La statua venne trasportata al Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo, dove è conservata tutt’oggi.

[I.C. Viale Venezia Giulia, Roma, Scuola secondaria di primo grado, Plesso di Via di Torre Annunziata, Classe IID, a.s. 2021-2022, alunna Angelica Ianuario]

Questo racconto, ispirato al Pugile in riposo del Museo Nazionale Romano, è stato inviato alla redazione di APPasseggio Blog nell’ambito del concorso di scrittura creativa: “Narrastorie da museo: le opere d’arte prendono vita” (edizione 2022).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.