L’inganno del pugile #Narrastoriedamuseo

Roma, Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo, Pugile in riposo [Foto: Wikimedia Commons, CC BY SA 4.0 International, by Livioandronico2013]
Roma, Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo, Pugile in riposo
Ero solo, seduto sul terreno all’ombra di un acero cretese ad avvolgermi le mani e i polsi nei miei himantes, mi bruciavano gli occhi, mi fischiavano le orecchie, non riuscivo a reggermi in piedi, ricordo quella sensazione orribile come se fosse successo ieri, per la prima volta in vita mia ebbi il timore di non poter vincere e per la prima volta percepii quel senso di impotenza che da quel giorno fino ad ora non mi ha mai abbandonato.

Mancavano solo sessanta minuti all’inizio del prossimo scontro e appena finii di sistemarmi per il combattimento mi diressi a fare rifornimento del mio maledetto veleno, che in un solo momento si trasformò dal mio punto di forza nella mia rovina. Mi incamminai a passo felpato nella foresta verso il nascondiglio dell’ultima fialetta che mi era rimasta, per il mio scontro precedente decisi di non usarla e conservarla per l’ultimo round, quello decisivo per la vittoria. Dopo il mio primo combattimento pulito, senza imbrogli, anche se il mio avversario era più esile di me ero allo stremo delle forze.

Aguzzando la vista tra fiori e folti alberi dai tronchi macchiati dal sole, trovai la tana di coniglio sotto un cespuglio di viole selvatiche che avevo usato come nascondiglio; infilai il braccio dentro al buco e inizia a frugare… niente.

Iniziai ad andare nel panico appena il solo pensiero di ciò che stava accadendo mi passò per la testa; le mie dita si muovevano in cerca del nulla, la fronte gocciava di sudore, il mio respiro si faceva sempre più affannoso, le gambe tremavano, gli occhi spalancati fissarono per cinque secondi l’orizzonte e in quei cinque secondi ci fu un silenzio tale che quasi potevo sentire il mio battito. Avevo perso il veleno.

Barcollavo mettendo una gamba dopo l’altra, la fatica si faceva sentire ad ogni passo ma il dolore delle ferite procuratemi dal precedente combattimento bastava per tenermi cosciente, facendomi spazio tra la folla avevo raggiunto il ring.

Il mio avversario era alto, smilzo, ma dall’aspetto assai robusto, aveva le vene del collo e della fronte in tensione, lo sguardo freddo e distante, le labbra serrate, anche lui sembrava stanco, ma soprattutto dava l’idea di essere arrabbiato; forse con me, forse con sé stesso.

Se solo gli avessi potuto far ingerire il mio veleno non avrebbe avuto quell’aspetto feroce; ma adesso, adesso che più niente mi era rimasto, cosa potevo fare io, un pover’uomo che aveva guadagnato fama e successo con trucchi e imbrogli contro chi era arrivato fin lì lottando? Forse l’unica mia speranza sarebbe stata pregare gli dei che non mi avrebbe ucciso; e così feci.

La posizione immobile, con i piedi radicati al terreno, faceva intendere che il muscoloso uomo non aveva intenzione di attaccare per primo; allora dovevo sferrare io il primo colpo? Già immaginavo l’umiliazione davanti a tutti coloro che, con un solo pugno, mi avevano visto far svenire il nemico e che adesso mi avrebbero considerato così debole e privo di forza da far tenerezza. Pensavo alla sconfitta, la mia peggiore paura, perdere la mia gloria, il mio onore; pensavo al dolore, alla morte e alla delusione. Avevo paura. In un istante tutti i pensieri più cupi mi annebbiarono la mente e non riuscivo a muovermi, non riuscivo ad urlare né a farmi forza, non riuscivo a guardare in faccia il mio avversario, non riuscivo.

Ad un certo punto mentre navigavo nel mio mare di paure fissando la terra sotto i miei piedi, un rumore, un urlo di stupore da parte della folla di spettatori, seguito da un chiacchiericcio mi distrasse, alzai lo sguardo e non volevo credere a ciò che stavo vedendo… la situazione peggiorò drasticamente.

Quell’uomo si era tolto dalla tasca la mia fialetta di veleno e la stava sventolando nel cielo come per farla vedere a tutti. Fu immaginabile la mia reazione, ebbi un crollo mentale e iniziai a negare che quel veleno fosse il mio, ma il mio stato che non riuscivo a controllare fu prova inequivocabile della mia colpevolezza.

Dopo l’accaduto arrivarono i giudici del torneo di pugilato che mi presero e mi trascinarono via a forza, mentre strillavo e strusciavo con le unghie sul terreno implorando perdono, ma le mie preghiere furono inutili perché i giudici avevano già deciso come dovevo essere punito, mi cavarono via i bulbi oculari con un coltellino e mi seppellirono tra le fondamenta più basse del tempio del Sole; il dolore che provavo era indescrivibile, sia quello emotivo che fisico, dovetti sedermi su un capitello dorico perché non riuscivo nemmeno a reggermi in piedi, ma appena rimasi solo, buttato via come un oggetto che più a niente serviva, fu in quel momento che ebbi la mia vera punizione.

Iniziai a sentire un formicolio sulla punta delle dita di mani e piedi, mi si seccò la gola in un istante e persi la voce; pensai che fosse giunta l’ora della mia morte, ma per mia sfortuna quella sensazione che percepii mano a mano in tutto il corpo, stava ad indicare un’altra cosa: Ares aveva deciso di farmi passare una pena ben peggiore della morte e mi trasformò in una statua.

Questa è la storia del perché mi ritrovo adesso a Palazzo Massimo, sentendo rumori di persone che mi ammirano per la mia bellezza pur non sapendo cosa ho fatto, parlando tra me e me senza potermi scusare con nessuno, solo, pur essendo circondato da visitatori giorno dopo giorno, senza neanche poter osservare i loro volti. Era quello che mi meritavo, non volendo vedere altro oltre che il successo, quando lo persi, persi anche la vista e vivendo in maniera così vuota da dover imbrogliare per sentirmi qualcuno divenni un oggetto, una statua vuota, senza anima.

[I.C. Viale Venezia Giulia, Roma, Scuola secondaria di primo grado, Plesso di Via di Torre Annunziata, Classe IIID, a.s. 2021-2022, alunna Lara Giuliani]

Questo racconto, ispirato al Pugile in riposo del Museo Nazionale Romano, è stato inviato alla redazione di APPasseggio Blog nell’ambito del concorso di scrittura creativa: “Narrastorie da museo: le opere d’arte prendono vita” (edizione 2022).

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