Quarta tappa del nostro cammino a piedi lungo la Via del Tratturo: da Roccasicura a Civitanova del Sannio, circa 20 chilometri, faticosa ma ricca di incontri.
La sera precedente ci siamo accordati con Enzo, al bar, per farci dare un passaggio in auto da un paesano fino al ponte sul torrente Vandra ed evitarci quindi un’inutile e lunga discesa sull’asfalto. Già il pomeriggio precedente avevamo individuato la mulattiera per l’agriturismo Il Tratturo che di prima mattina, ben riposati, percorriamo in salita per circa due chilometri e mezzo. All’altezza del viale che conduce verso l’agriturismo (chiuso a seguito dell’emergenza pandemica] sostiamo per un breve riposo accanto ad una grossa pietra su cui inaspettatamente è stato inciso il quadrato palindromo del SATOR: ROTAS OPERA TENET AREPO SATOR. Il testo è identico se letto dall’alto in basso o da sinistra a destra e viceversa!
Proseguiamo diritti lungo il sentiero erboso originato nei secoli dal passeggio degli armenti lungo il tratturo Castel di Sangro-Lucera. In origine, quando il tracciato viario lo consentiva la larghezza era di 111 metri corrispondenti a sessanta passi napoletani.
Nel punto più alto incrociamo, accompagnato dalla sua fedele cagnolina Stellina, il pastore Antonio, che non disdegna assolutamente di fare quattro chiacchiere. Classe 1943, cinque fratelli, da giovane ha lavorato come emigrante in Germania, prima in una segheria e poi nell’edilizia.
Dopo il matrimonio, per la nascita del primo figlio ha deciso di tornare in Molise, dando alla luce ben cinque figli che ora gli hanno dato sette nipoti. Praticamente è l’ultimo pastore stanziale della zona, vive serenamente con la moglie in un vicino casale e giornalmente conduce al pascolo mucche, pecore e capre lungo i pascoli che fiancheggiano il tratturo.
Ci invita a fermarci al suo casale per assaggiare il formaggio prodotto artigianalmente. Un gruppo di pecore in cerca di ombra accanto a una serie di edifici ci indica che siamo arrivati nel posto giusto.
Acquistiamo una forma di formaggio di capra, conservato su asticelle di bambù in un ambiente fresco e prodotto con tecniche antiche. Riempiamo anche le borracce, da qui fino alla fine del nostro itinerario, l’acqua sarà sempre più scarsa e il terreno riarso: sono mesi che non piove e la siccità si fa sentire.
Proseguiamo tra le colline lungo una mulattiera, il paesaggio è molto bello, il territorio poco abitato, il sole cocente.
Nel primo pomeriggio, superato il pianoro di Capo d’Acqua, raggiungiamo percorrendo dolci colline in saliscendi, il borgo di Pescolanciano, a poco più di 800 metri s.l.m., ubicato tra due vallate solcate dai fiumi Trigno e Savone.
All’ingresso del paese ci accoglie una bel fontanile ottocentesco, da un lato l’abbeveratoio per gli animali alimentato da due cannelle a testa di leone, dall’altro le cannelle per i viandanti.
Imbocchiamo la direttrice di Via Garibaldi, asse principale del borgo e ci fermiamo all’antico Caffè per ristorarci.
Murato all’esterno, dietro un tavolino, notiamo un frammento di cippo tratturale. Chiediamo alla barista di timbrarci il salvacondotto, ma lei manda a chiamare la signora Maria Assunta, con il marito, vere e proprie memorie storiche del borgo.
Maria Assunta ci racconta che il papà era un pastore, si trasferiva in Puglia e da lì partiva in transumanza verso Villetta Barrea e Ateleta, nell’Aquilano. Lei aveva accompagnato il papà due volte, quando era ventenne, negli anni Settanta del Novecento.
Racconta che all’andata, col caldo, ci si fermava in ogni paese, con la stagione delle piogge si andava più veloci. Il titolare viaggiava in macchina, mentre i pastori seguivano il gregge. Durante la giornata raccoglievano le cicorie per la sera, quando si mangiava e si dormiva tutti insieme all’aperto, col fuoco acceso. In genere c’erano due stazzi, nel secondo si spostavano le pecore appena munte. Ogni giorno si producevano formaggio e ricotta e i paesani dei borghi vicini venivano sempre a fare provvista. La mattina presto il pastore ripartiva presto con il gregge, mentre gli accompagnatori smontavano gli stazzi e imballavano i materiali per la sosta successiva. Gli agnellini appena nati erano in grado di mettersi subito in cammino, i più deboli venivano portati a braccio. Maria Assunta ricorda il passaggio delle pecore a Pescolanciano, greggi da 1500 pecore, spesso passavano a lato del paese per non sporcare la via principale.
Salutiamo Maria Assunta che ci timbra il salvacondotto con un’immagine che mostra anche la lettera greca tau: Pescolanciano infatti è anche tappa del cammino Sulle ali ai piedi che ripercorre le tracce di San Francesco e San Michele Arcangelo dalla Verna in Toscana a Monte Sant’Angelo in Puglia, coincidendo per un lungo tratto con la Via del Tratturo e il cui simbolo è appunto il tau.
Prima di lasciare il paese, il marito di Assunta ci invita orgogliosamente a visitare il Museo della Civiltà contadina, da lui allestito all’interno di un locale messo a disposizione dal Comune con oggetti, documenti e cimeli raccolti nel tempo attraverso donazioni e ricerche personali.
Il pezzo forte della raccolta è costituito dal vecchio orologio della metà del Novecento, di scuola altomolisana, apposto sul campanile della chiesa, sostituito oggi da un orologio digitale. Con orgoglio ci racconta di essere riuscito a ripristinare il complesso meccanismo con i treni di ruote per la scansione del tempo e per la suonerie con il battito delle ore e dei quarti d’ora.
Dopo aver visto il meccanismo in funzione, riprendiamo il cammino lasciandoci alle spalle il borgo con l’imponente castello riprendendo il percorso della Via del Tratturo segnalato come RT 6.
Attraverso una mulattiera raggiungiamo la Strada provinciale Bagnolese. Lì purtroppo siamo costretti a percorrere un lungo pezzo di strada asfaltata, anche se Cesidio a Pescasseroli ci ha raccomandato di non seguire pedissequamente la traccia ma di deviare a un certo punto verso il lago di Chiauci, seguendo le indicazioni dell’RT 6 che ci portano su un’altra strada asfaltata ma chiusa alle macchine per via di un grave dissesto.
Costeggiamo il lago dall’alto che con un’invaso di 8 milioni di metri cubi di acqua dovrebbe risolvere i bisogni idrici della Vallata del Trigno, da quelli potabili a quelli irrigui e industriali. L’antico tratturo in questo tratto si è perso, “annegato” nell’invaso artificiale realizzato grazie a un progetto avviato negli anni Cinquanta e ancora non portato a completamento, una delle tante opere titaniche mangiasoldi e dalle procedure molto travagliate.
Giunti al termine della strada asfaltata, nei pressi del cancello che porta alla diga, saliamo sulla collinetta a destra, lungo un sentiero ben segnalato fino alla cima dove un bel cippo tratturale campeggia isolato con la sua scritta RT 1884.
Dopo una breve discesa attraversiamo una strada asfaltata e da lì imbocchiamo un sentiero che ci costringe a verificare la traccia sul GPS, non sempre ben riconoscibile anche a causa di alcuni tratti impantanati.
Superata una rupe, dopo una lunga discesa raggiungiamo finalmente Civitanova del Sannio, grazioso borgo il cui monumento principale è costituito dalla chiesa intitolata a San Silvestro, la cui facciata è preceduta da una maestosa scalinata incassata tra gli edifici.
Non vi sono trattorie o ristoranti aperti, quindi dopo aver fatto un po’ di spesa all’alimentari ci cuciniamo un piatto di pasta nel miniappartamento dove alloggiamo.
[Maria Teresa Natale, travel designer e guida turistica]
- La Via del Tratturo, tappa 1: da Pescasseroli a Villetta Barrea
- La Via del Tratturo, tappa 2: da Villetta Barrea a Villa Scontrone
- La Via del Tratturo, tappa 3: da Villa Scontrone a Roccasicura
- La Via del Tratturo, tappa 4: da Roccasicura a Civitanova del Sannio
- La via del Tratturo, tappa 5: Civitanova del Sannio a Castropignano
- La Via del Tratturo, tappa 6: da Castropignano a Campobasso
- Cosa vedere a Campobasso in due mezze giornate