La festa del SS. Crocifisso a Calatafimi Segesta

Non c’è nulla di più bello, durante un cammino, che arrivare in un luogo e trovare una sorpresa inaspettata. È ciò che è successo a noi, il 3 maggio, nel percorrere una tappa dell’Antica Trasversale Sicula quando, giunti nel borgo di Calatafimi-Segesta, abbiamo saputo che nel tardo pomeriggio si sarebbe tenuta la festa del SS. Crocifisso, di origini antichissime.

Là dove oggi si trova la chiesa omonima, all’interno delle mura cittadine, un tempo, si collocava la Chiesa di Santa Caterina Vergine e Martire di Alessandria. Due relazioni scritte sotto giuramento, che ancora si conservano, narrano di avvenimenti straordinari che accaddero nel mese di giugno 1657 quando mastro Giuseppe Fontana e un tal Leonardo Ferraro riportarono che il Crocifisso collocato nella chiesa aveva fatto dei miracoli, guarendo malati e indemoniati.

A seguito di questi eventi eccezionali, i calatafimesi chiesero al vescovo di condurre in processione per le vie del borgo il SS. Crocifisso per il quale era stata realizzata una cappella. I devoti che frequentavano la chiesa di S. Caterina erano così numerosi che settant’anni dopo si diede inizio alla costruzione di una nuova basilica, oggi nota come il Santuario del SS. Crocifisso.

Il 25 settembre 1887, Calatafimi venne colpita da una sventura: un incendio divampò in chiesa al termine di una messa solenne in occasione della festa della santa patrona e il crocifisso ligneo fu arso dalle fiamme. I calatafimesi non si persero d’animo e fecero realizzare a Roma un nuovo crocifisso, che ancora oggi possiamo ammirare.

La chiesa di Calatafimi ogni anno, il 3 maggio, celebra la festa del SS. Crocifisso che si conclude con una processione solenne accompagnata dalla popolazione e dai ceti, ovvero associazioni tra persone accomunate dalla stessa attività lavorativa, posizione economica e sociale, talvolta finalità religiosa.

Un tempo i ceti calatafimesi erano moltissimi: macellai, carbonai, tessitori, crivellatori, chierici, erbaioli, fornai, lavoratori a giornata, lavandai, lavoratori del lino, mastri artigiani, mugnai, ortolani, apprendisti, saccari, bottegai, pastai, mediatori d’affari e così via. Molti ceti sono ormai scomparsi, ma ne sopravvivono ancora undici oltre alla Congregazione del Clero, tutti fieri della loro appartenenza, ognuno con un presidente, un tesoriere, un consiglio d’amministrazione.

Quando le risorse finanziarie e l’armonia tra i ceti lo consentono viene organizzata la festa ranni, con celebrazioni di più giorni e sfilata di carri, altrimenti ci si limita alla processione in omaggio al SS. Crocifisso organizzata nel pomeriggio del 3 maggio.

Per l’occasione la barocca Chiesa del SS. Crocifisso, generalmente chiusa, viene aperta  e così abbiamo avuto l’opportunità di visitarla.

A partire dalle cinque del pomeriggio, sul piazzale antistante la chiesa si sono via via raccolti tutti i ceti che poi sono sfilati in processione per le vie del borgo, affollate di calatafimesi. Piazze, portoni, balconi, tutta la popolazione ha partecipato nel rispetto di una tradizione codificata nei secoli. E naturalmente non potevano mancare il sindaco e il comandante della Stazione dei Carabinieri.

Ogni ceto sfila con i propri stendardi, i propri simboli e dei piattini con delle monete dorate, che rappresentano il patrimonio del ceto. Tutti sono elegantissimi, fieri del ruolo che rivestono in questo pomeriggio di festa.

Il ceto della Sciabica è il ceto del popolo, così chiamato perché la sciabica, un particolare tipo di rete da pesca, può raccogliere ogni tipo di pesce, un ceto all’interno dei quale si ritrovano tutti coloro che appartengono ad altri ceti. Il loro simbolo è uno stendardo rosso su cui sono dipinti le immagini del SS. Crocifisso e di Maria SS. di Giubino. Il ceto più antico, che sfila per primo e ha l’onore di stare vicino al SS. Crocifisso, è il Ceto dei Massari (detti anche Borgesi con bovi), che riunisce ricchi imprenditori proprietari di masserie. Nel tempo furono tra i più generosi nei confronti del SS. Crocifisso, che deve a loro la “vara d’argento” nel quale viene trasportato. Il loro simbolo è il bue (voi), utilizzato nell’antica civiltà contadina per l’aratura e il trasporto. Orgogliosamente conducono in processione il loro vuiareddu che trasporta monete.

Il ceto dei Commercianti (forse gli antichi bottegai) sfila con una cornucopia d’argento poggiata su un cuscino rosso, sorretto dal presidente mentre la maestranza è il ceto dei mastri artigiani, che un tempo garantiva anche l’ordine della città in momenti cruciali, con funzione di milizia urbana alle dipendenze delle autorità comunali. Gli sfilanti vestono abito, cravatta, cappello e scarpe neri, gilet bianco con catenella dorata e guanti. Tra i loro simboli vi sono una bandiera di seta bianca con una croce col simbolo IHS (Gesù Salvatore degli uomini), una cassetta cilindrica di rame per la raccolta delle offerte, lance e alabarde. Sfilano al suono marziale della banda e al posto delle armi i mastri portano candele.

Ha l’obiettivo di propagare il culto e la devozione per San Giuseppe Il ceto dei Borgesi di San Giuseppe o Mercurianti. Il loro stendardo in seta bianca ostenta l’immagine della Sacra Famiglia con il motto ripreso dalla Genesi (Ite ad Joseph). Si riconoscono per il circu, una calotta sorretta da un bastone ricoperta di pani rituali ad anello che si aprono in spicchi (cucciddati), dalla cui circonferenza pendono arance e sulla cui cima troneggia una croce di pane con raggi di spighe intrecciate.

Altra corporazione molto antica è il ceto degli Ortolani sul cui stendardo è raffigurato Gesù nell’orto degli ulivi. Il loro simbolo è San Palinu (da San Paolino, protettore della categoria), una riproduzione in legno di un antico ortolano al lavoro. La statuetta snodabile sfila in una piccola “vara”, una sorta di urnetta sorretta da un bastone.

Nei tempi andati si contavano ben sedici mulini a Calatafimi, non poteva mancare quindi il Ceto dei Mugnai, che oggi sopravvive solo grazie ai discendenti di coloro che portavano avanti un mestiere ormai scomparso. Sfilano con uno stendardo azzurro con croce d’oro e il Mulinello, un mulino in miniatura. Nel giorno della festa solenne sfilano con la Santa Croce settecentesca d’argento realizzata in omaggio al SS. Crocifisso, su cui sono citati i mugnai che contribuirono con la loro generosità alla sua realizzazione, specificando che solo i mugnai Colombo non contribuirono, chissà perché, fatto sta che la loro mancanza di generosità si tramanda nei secoli. Statuine lignee dorate con pecore e capre circondate di monetine rimandano al Ceto dei Pecorai e Caprai, che avevano come protettori S, Gregorio e S. Pasquale Babylon, presente sul loro stendardo. Anche loro portano un circu tappezzato di cucciddati, foglie d’alloro, pecorelle e frange da cui pendono piccole forme di cacio.

Almeno al Seicento risale il Ceto dei Macellai, gli antichi Bocceri, che in antico contribuivano alla festa del 3 maggio versando “tarì 2 per ogni bue, vacca, vitellaccio, che macellasi”. Li si riconoscono per il loro stendardo di velluto rosso con croce ricamata in oro.

Ancora oggi Calatafimi deve molto del suo benessere all’agricoltura e agli imprenditori agricoli, pertanto il Ceto dei Borgesi (Burgisi di lu Crucifissu) è uno dei più importanti e l’unico ad avere sul proprio stendardo ricamato un’immagine del SS. Crocifisso, a cui sono sempre stati molto devoti. Durante la processione i sfilano in abito nero con torce in mano, una coppa colma di monete d’oro e i muliceddi, statuine di legno che trasportano monete d’oro sul dorso e in bocca. Anche il Ceto dei Cavallari sfila portando candele e figurine di cavallucci di legno (i cavadduzzi) dorati sormontati da monete.

E infine, il Ceto del Clero, l’unico assieme a quello della Maestranza a non essere connesso a mestieri, ma istituito per riunire sacerdoti e chierici. Sul loro stendardo settecentesco di velluto campeggiano uno scudo con una croce e le chiavi di San Pietro. Viene portato in processione da un chierico tra due sacerdoti che sostengono due aste lignee sormontate da altrettanti cerchi con Croce e angioletti.

Con entusiasmo abbiamo seguito la processione del SS. Crocifisso, un’occasione per conoscere un’antica tradizione siciliana, ancora così sentita dalla popolazione locale.

[Maria Teresa Natale]

Cronaca del cammino da Mozia a Salemi, 29 aprile-6 maggio 2023

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