Il borgo storico di Salemi, ricco di memorie storiche e di sopravvivenze romane, arabo-normanne e barocche, è ubicato sulla cima di una collina nella Val di Mazara. Vi suggeriamo un itinerario di visita di almeno mezza giornata che abbiamo sperimentato in occasione del nostro cammino lungo l’Antica Trasversale Sicula.
La passeggiata prende avvio da piazza Libertà, dove si raccomanda una sosta presso l’accogliente Extra Bar Salemi, con comodi tavolini in esterno e il gentile gestore che propone gustose leccornie del reparto dolciumi. Il locale è frequentato dai locali, con i quali non è difficile fare quattro chiacchiere.
La facciata dell’ex Cinema Italia, che prospetta su piazza della Libertà, ci riporta al Novecento e alle atmosfere di Nuovo Cinema Paradiso. Pensate che nel 2009 il Comune di Salemi è entrato in possesso della collezione di 55.000 film messa insieme dal cinefilo americano Yong-man Kim, che negli anni Ottanta gestiva undici videoteche a New York: un vero tesoro con rarità di cinema indipendente da tutto il mondo. All’epoca di Sgarbi sindaco si era pensato di rendere disponibile la collezione e di digitalizzarla, ma al momento, purtroppo, i film attendono ancora un futuro dall’interno di scatoloni polverosi.
Seconda tappa della passeggiata è piazza Alicia, odonimo che ricorda l’antica città elima di Halyciae la quale, come Segesta, in epoca romana ebbe il privilegio di essere esentata dai tributi. E sopravvivenze di età romana si incontrano ancora nel tracciato del centro storico d’impianto arabo-medievale con un andamento a chiocciola caratterizzato da stretti vicoli, cortili e piazzette.
Nella parte più alta della città, dove secondo la tradizione sarebbero stati eretti un tempio dedicato a Venere, una moschea e una cappella paleocristiana, possiamo ammirare i resti dell’ex Chiesa Madre, dedicata nel Medioevo alla Madonna degli Angeli e in epoca barocca riprogettata dal palermitano Mariano Smiriglio e consacrata a San Nicola di Bari, patrono della città.
Il terremoto del 1968 provocò il crollo di parti dell’edificio cui non seguì un pronto intervento di restauro. Così la chiesa nel corso dei decenni si ridusse a rudere, magistralmente riqualificato nel 1998, grazie a un riuscito intervento dell’architetto portoghese Alvaro Siza Vieira e dell’architetto siciliano Alberto Collovà, i quali sono riusciti nell’intento di abbinare uno spazio laico ad uno spazio sacro, realizzando una piazza dentro la piazza che valorizzasse spazi vuoti, contesto storico e ruderi degli antichi monumenti.
Proseguiamo la passeggiata accedendo alla corte del castello normanno, fatto erigere da Ruggero nell’XI secolo su fortificazioni greco-romane preesistenti, proprio in cima alla collina. Dalla torre cilindrica si gode di una veduta a 360 gradi: qui Giuseppe Garibaldi issò il tricolore proclamando Salemi “capitale d’Italia”, che ebbe questo titolo per un solo giorno.
Una lapide ai piedi delle mura del castello ricorda che “il comandante in capo le forze nazionali in Sicilia, su invito di notabili cittadini e sulle deliberazioni dei comuni libri dell’isola, considerando che in tempo di guerra è necessario che i poteri civili sieno concentrati in un solo uomo” decretò di assumere la dittatura in Sicilia nel nome di Vittorio Emanuele II re d’Italia, era il 14 maggio 1860. Un’altra lapide, all’interno della corte, risalente al 18 novembre 1935 – 14° anno dell’era fascista –, fu posta “a ricordo dell’assedio perché resti documentata nei secoli l’enorme ingiustizia contro l’Italia alla quale tanto deve la civiltà di tutti i continenti”. A quale assedio si riferiva?
Ci dirigiamo quindi in piazza della Dittatura su cui prospetta il monumentale palazzo del Municipio. Sopra il balcone è ben visibile lo stemma della città: un’aquila con le ali spiegate che sul petto reca inciso il castello normanno tra due rami di quercia e alloro, simbolo di potenza e gloria. Nella corte di accesso non potevano mancare i busti di Giuseppe Garibaldi e Francesco Crispi il quale, strenuo propugnatore dell’Unità d’Italia, fu l’autore del decreto che proclamava la dittatura garibaldina.
Tra le attuali via della Mela e via Porta Quercia, passeggiamo nella Giudecca: prima dell’editto di Granada del 1492 con il quale si sanciva la cacciata degli ebrei dai territori di Ferdinando il Cattolico e quindi anche dalla Sicilia, sull’isola esistevano ben cinquanta comunità ebraiche e quella di Salemi era una di queste, attestata fin dal XIII secolo. La convivenza tra cristiani ed ebrei era pacifica e dopo l’editto, molti ebrei si convertirono per continuare a vivere e svolgere le proprie attività artigianali e commerciali nelle tortuose stradine del quartiere, parzialmente soggette a restauro.
Man mano che si scende, i ruderi degli edifici testimoniano i disastri provocati dal terremoto del Belice. Ci intrufoliamo tra le macerie della Chiesa di S. Maria della Catena, forse ubicata là dove un tempo sorgeva la sinagoga ebraica. L’appellativo della Vergine, colei che spezza i vincoli che travagliano l’essere umano, rimanda al “miracolo delle catene”, avvenuto a Palermo nel 1392, quando tre condannati a morte destinati all’impiccagione in piazza Marina si rifugiarono in una chiesetta assieme ai loro carnefici per ripararsi da un violento temporale che era scoppiato durante l’allestimento delle forche. Legati l’un l’altro a doppia catena, i tre rei invocarono la Vergine che prospettava sull’altare, la quale intercedette per loro, sciogliendo le catene.
Tornando verso piazza Libertà, incrociamo uno stretto palazzo costruito tra due vicoli su cui sopravvive sull’intonaco cadente una vecchia scritta inneggiante a Stalin. Ci piace documentare queste nostalgiche scritte sui muri, destinate presto a scomparire.
Avendo sufficiente tempo a disposizione, consigliamo vivamente la visita del Museo del Pane rituale in via Giovanni Cosenza 26 (prenotazione raccomandata: 3470411856, offerta libera): si tratta di una raccolta straordinaria di più di mille pani rituali della tradizione salemitana e siciliana in genere. Gaspare Cammarata, l’appassionato curatore che lo gestisce, ci accoglie nel cortiletto da cui si accede a due ambienti nei quali sono esposte decine di forme di pani rituali allestite all’interno di cornici lignee, ognuna legata a località, feste e tradizioni specifiche: l’agneddu di Mazara del Vallo, il pau di Salaparuta, la palumedda di Mussumeli, u pani da zita di Favara, i cavadduzzi di San Biagio, i cuccureddi di San Giuseppe, i cuccidati di San Francesco di Paola… e tanti altri pani modellati in forme più o meno fantasiose.
Ancora oggi, a Salemi, la tradizione del pane rituale è molto sentita e le donne ne preparano in occasione di ogni festa, anche se i pani più straordinari vengono realizzati per la festa di San Giuseppe il 19 marzo. Per quell’occasione vengono allestiti splendidi altari barocchi addobbati con foglie di mirto e alloro, agrumi e piccoli pani e le famiglie celebrano le cene di San Giuseppe offrendo un pasto a tre giovani della comunità. Un tempo gli ospiti erano tre poveri del paese, in ricordo della Sacra Famiglia.
E, infine, se avete ancora un’oretta da spendere a Salemi, non mancate di visitare il Museo Civico nell’ex Collegio dei gesuiti che ospita collezioni afferenti all’arte sacra, al Risorgimento, all’archeologia, alla mafia, alla legalità. ll collegio fu utilizzato dai Gesuiti fino al 1767, quando furono espulsi dalla Sicilia. Ritornati nel 1819, riebbero tutto il complesso fino al 17 giugno 1860, quando Giuseppe Garibaldi, con suo decreto, li allontanò dall’Isola.
I moti del 1848 e la spedizione dei Mille sono ben documentati nella sezione risorgimentale. Segnaliamo la tela del pittore salemitano Ignazio Miceli Concordia del 14 aprile 1861, l’Apoteosi di Garibaldi e la Presa di Palermo con garibaldini e borbonici che si scontrano nelle vie del centro.
Nella sezione sulla mafia, colpisce il murale sul Peso della mafia in Italia: se lo Stato è assente, molti sono i personaggi – uomini e donne – che si sono battuti contro di essa e ne sono rimaste vittime. Peccato che molte delle installazioni che trattano di temi diversi di Cosa Nostra all’interno di dieci cabine elettorali (dalle stragi alle intimidazioni, dal carcere al ruolo della politica ecc.) non funzionino bene.
Un’ultima curiosità, nel percorso museale non sfugge allo sguardo la copia fedele della Santa Casa di Loreto, voluta dal gesuita perugino Padre Silvio Ludovico Minimi (1648-1754) che visse per ben quarantacinque anni a Salemi. La chiesetta, Inglobata negli ambienti del collegio, è decorata esternamente con affreschi che riproducono gli originali marmorei di Loreto. All’interno è allestita la casa vera e propria con reliquiari in cristallo e legno dorato e la cappella con la Statua della Madonna nera, mentre sotto l’altare, in un’urna di vetro sono visibili le reliquie di San Vittoriano martire.
[Maria Teresa Natale]
Cronaca del cammino da Mozia a Salemi, 29 aprile-6 maggio 2023
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